La città infatti (Milano) è un pretesto per parlare della quotidianità, della mediocrità forzata, della noia e del dolore che uccidono felicemente, secondo una geniale parabola Beckettiana.
Non a caso il titolo del nuovo album, nato da una storpiatura del romanzo giallo “I milanesi ammazzano al sabato” di G. Scerbanenco, ha, oltre a un’intelligente copertina, un feroce sottotitolo: “14 ricette di quotidiana macabra felicità”, in riferimento al numero dei brani presenti nel “menù”.
Musicalmente l’album appare complesso e ricco di tutti gli apporti della nuova formazione a sei (M. Agnelli,
chitarra e voce, R. Dell’Era, basso, E. Gabrielli, fiati, G. Prette, batteria, G. Ciccarelli, tastiere, e D. Ciffo, violino). Fondamentale a questo proposito la collaborazione ormai consolidata di J. Parish e G. Dull, e l’apporto meno percepibile, ma curioso, di B. Ritchie. Bella inoltre la scelta, già sperimentata con l’album precedente, di incidere tutti i brani anche in inglese, facendone, praticamente, una doppia versione per l’estero.
Nei testi, tutti scritti da Agnelli, si respira un’aria malsana che nasconde, dietro il tono fiabesco e leggero, una passione gelida, cinismo, rabbia, ironia, per tratteggiare con poche parole la triste e spensierata superficialità dei nostri tempi, la nevrosi nascosta dietro l’ordinario.
Già il brano di apertura “Naufragio sull’isola del tesoro” la dice lunga sul tono generale…“C’era una casa bellissima che un brutto mutuo stregò…” , dove alla sola chitarra si aggiunge un crescendo di elettricità e freddezza. Si prosegue con “È solo febbre”, musicalmente ricca di una angosciante orchestrazione che fa da cornice ad un’invettiva sulla mediocrità: “…cambiare
stile falciando teste, cambiare amore, cambiare veste, tradire tutti per non star solo (…) mediocri in salvo di tutto il mondo, ovunque siate, ego vi assolvo”, frase quest’ultima pronunciata da Salieri nel film “Amadeus” di M. Forman.
I brani: ”Pochi istanti nella lavatrice” e “Riprendere Berlino” ricordano i vecchi Afterhours, il loro rock viscerale. Stesso discorso per “È dura essere Silvan” e per “Tutti gli uomini del Presidente”, brano potente, mosso da vere scariche elettriche e dal desiderio febbrile del
sesso.
Si passa poi a brani musicalmente più intimi (compreso quello che dà il titolo all’album) come la ballata “Musa di nessuno” e “Tema: la mia città”, brano musicalmente non troppo riuscito, ma che rimane un attacco frontale alla Milano “Bilanciocentrica, dove l’attenzione per la cultura e per il sociale non esistono. Ma confidiamo nei suoi eroi e nei loro maglioncini magici per risolvere la situazione: un esercito di Ferocissimi Bloggettari Anonimi contro il sistema, ma solo dopo l’aperitivo…” (da un’intervista su “XL” a M. Agnelli).
Questi gli “ingredienti” di un album che ci invita a gettare via la maschera, e che ci costringe a guardare crudelmente in faccia una realtà, quella delle nostre piccolezze, non sempre facili da digerire.
Insomma, un lavoro affascinante e originale che rimane unico nel troppo stitico e asfissiante panorama musicale italiano e che ci riporta intatti, e semmai accresciuti, lo spirito e la qualità di quella che è considerata da molti la migliore rock-band italiana.
di Dario Ameruso