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ROGER WATERS – THE WALL - il film-concerto

ROGER WATERS – THE WALL - il film-concerto
di Dario Ameruso

Se alzi un muro,
pensa a ciò che resta fuori!

Italo Calvino,
Il barone rampante, 1957

Viviamo in un mondo pieno di muri,
e quei muri devono essere sorvegliati
da uomini col fucile

Nathan R. Jessep (Jack Nicholson)
in Codice d'onore, 1992
(23 novembre 2015) I muri. Tutti i muri. Quelli che ci dividono. Quelli che inventiamo. Quelli che escludono. Quelli che ci danno sicurezza. I muri della mente. Quelli cui non puoi dare risposta. E le tue domande rimangono a rimbalzarci contro. Caparbie. Ancora i muri che uccidono i rapporti. Quelli che abbiamo costruito insieme alla donna che amiamo. Che sono le nostre ferite. Da risanare. Muri da abbattere. Ma i muri rimangono lì a simboleggiare le distanze, le paure. Fino a quando non ne vedi i limiti e ogni mattone nel muro acquista un senso nuovo.
Che prima non aveva. Improvvisamente.

Il film-concerto “Roger Waters-The Wall” non riguarda semplicemente il resoconto del tour che il genio di Roger Waters ha portato in giro per il mondo, ma è anche l’itinerario assai personale di un artista nella sua e nella nostra memoria. Un percorso che vive nell'opera rock tra le più importanti di sempre. Secondo gli esperti l’Opera Rock per eccellenza.

Riprese in esterno. Una Bentley nera attraversa la campagna francese. Destinazione Cassino, Italia. L’auto si ferma in una strada solitaria, Roger Waters prende un libro da una borsa. Lo apre e ne estrae una lettera ingiallita dal tempo. Le lacrime gli solcano il viso. Un maggiore dell’esercito informa la signora che il marito Eric Fletcher Waters è morto ad Anzio. È il febbraio del 1944, il figlio e futuro bassista dei Pink Floyd è nato da appena cinque mesi. È una delle scene più commoventi di “Roger Waters-The Wall”.

Il film scorre tra flashback, ricordi, riflessioni e riprese live del concerto. Fantasmi del passato e aneddoti portano Waters ad Anzio attraverso un viaggio quasi onirico e tormentato. Davanti al mausoleo l’artista pone idealmente fine al suo tormento, come se fosse un omaggio covato da sempre. Le note commosse di una tromba rompono il silenzio e onorano il padre caduto in guerra.

Spaesamento di fronte all’orrore di tutte le guerre.


Il messaggio di “The Wall” tuttavia non è chiuso nel passato, ma fortemente attualizzato con riferimenti costanti al presente. Non resta solo parabola esistenziale, ma diventa politico. Da metafora sull’isolamento e l’alienazione, diventa celebrazione dell’ingiustizia dei conflitti e del potere. Perché i muri che uccidono sono ancora tanti. Non a caso è dedicato espressamente a tutte le vittime di stato. Vittime civili, attivisti, oppositori politici.  E poi camaleontiche ci sono le ideologie di sempre erette a sistema che uccidono il singolo.



Le riprese e gli effetti scenici del concerto live sono davvero spettacolari, perché mettono in campo una sorta di teatro Rock che arricchisce la già fornitissima Opera del 79’ di altri elementi. Allegoria continua e costante.



Così una versione acustica e assai personale di “Mother” si trasforma in una sorta di governo da grande fratello, mentre in “Goodby blue sky” gli aerei non sganciano bombe, ma emblemi nefasti: la croce cristiana, la mezzaluna, la stella di Davide, il segno del dollaro, il logo della Shell. Le verità imposte dall’alto, i fanatismi, le ideologie: religioni, fascismo, comunismo, capitalismo, multinazionali. E il cielo è spietato e si tinge di sangue..



Canzone dopo canzone un muro prende forma. La band sparisce. Migliaia d'immagini si susseguono a ritmo vertiginoso componendo una  cattedrale immaginifica di suoni e parole. Simbologia vivente. Il tutto mette in luce la follia militarista mentre ritornano i celebri pupazzi di “Another brick in the Wall”.



L'effetto scenico del muro ormai alto e definitivo fa da cornice al capolavoro “Comfortably numb”. Nel silenzio una voce chiede "Is there anybody out there? ", c'è qualcuno là fuori?



E’ l’apice del concerto e ne racchiude idealmente tutta la carica musicale ed emozionale. Dopo poco il muro è definitivamente abbattuto. Il pubblico ha gli occhi lucidi.



La potenza sonora e gli arrangiamenti fedeli alle versioni originali mettono in evidenza la magnificenza di uno spettacolo e di una performance musicale davvero valida. L’effetto cinema amplifica, qualora ce ne fosse bisogno e ci regala dei particolari da dietro le quinte difficili da vedere dal vivo.



Scritto e diretto dallo stesso Waters e da Sean Evens e girato in almeno tre diverse date, tra cui Quebec, Atene e Buenos Aires, non ricalca più facilmente le direttive del mitico film girato da Alan Parker, ma muovendosi su diversi piani, ora cinematografico, ora musicale e teatrale, pone l’accento sul privato dell’artista e sull’attualità simbolica di un Opera capace ancora di offrire nella sua vivacità, tanta complessità e bellezza.


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