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Altai di Wu Ming

Altai di Wu Ming
di Fabrizio Comerci

(11 marzo 2010) Una rivolta scuote lo status quo, aprendo una finestra sul futuro: la realtà perde la consistenza monolitica, tutto può essere messo in dubbio. Non importa essere dalla parte di chi vince, se hai combattuto al fianco della moltitudine, se la tua battaglia ha fatto vacillare l'arroganza del potere.
Passano quindici anni (solo dieci, fuori dalle pagine stampate). Cambia l'inquadratura: ora la guerra delle utopie si combatte ai vertici. Ora si combatte con l'avallo del potere. Ma la battaglia perde il proprio fascino. Ora puzza di morte. E la sconfitta non ha alcun senso

«Una fede diversa ogni volta, sempre gli stessi nemici, un'unica sconfitta»
Q (Luther Blissett)

«Machiavelli ha scritto che bisogna guardare il fine, non i mezzi. — Sí, anche Yossef me lo ha ripetuto spesso (...) Con gli anni, ho invece imparato che i mezzi cambiano il fine»
Altai (Wu Ming)



Lo stile è cambiato. Forse può risultare meno d'effetto, a una lettura distratta. Il protagonista è cambiato anch'esso. Il tratteggio è passato dalle linee nette al chiaro-scuro. Con sé porta, fin da subito, il fardello di un passato complesso.

Ci si potrebbe chiedere quale sia il collegamento tra Q (Einaudi - 1999) e Altai (Eindaudi - 2010), i due romanzi prodotti dal collettivo Wu Ming (fu Luther Blissett), al di là dell'epoca contigua dell'ambientazione e di qualche personaggio in comune.
E ne avrebbe da rimanere ben deluso chi si aspettasse, con Altai, il seguito di Q nel senso classico.
C'è da immaginarlo, piuttosto, come un ragionamento iniziato anni prima, al quale si vuole mettere un cappello.
E, dopo dieci anni, dire le stesse cose e allo stesso modo, sarebbe da pazzi.

Altai inizia dove Q finisce: tra Venezia e Istambul. Della rivolta dei contadini tedeschi (1524) seguita alla riforma protestante, che ha fatto da trama al primo romanzo, in Altai non rimane che un'eco lontana e distorta. L'avventura della nuova opera dei Wu Ming s'innesta, invece, negli eventi (romanzati e non) che portarono alla battaglia di Lepanto. Cristiani contro Ottomani ma, prima di tutto, commercianti contro commercianti. E se dietro l'ideologia religiosa c'è la valutazione geopolitica, all'ombra di essa, a sua volta, si giocano complotti e contro-complotti che fanno di tutto il Mondo una civiltà unica. Sulla scacchiera, a muovere le fila degli orientali, troviamo anche l'utopia proto-sionista di Giuseppe Nasi, ebreo sefardita che assurse a un ruolo di spicco nella corte del sultano Selim II e che i lettori di Q ricorderanno con il nome di João Miquez.

Chi si sta immaginando Altai come un mondo per soli uomini, si sbaglia. Il romanzo è pieno di donne carismatiche e affascinanti, che suppliscono al divieto loro imposto di partecipare alle decisioni ai vertici, con la tessitura di trame ancora più fitte e nascoste. Ambasciatrici di una saggezza che fa sembrare la Storia uno sciocco gioco al massacro.

Se avete già letto Q, avrete il piacere di ritrovare alcuni personaggi (maturati come se avessero vissuto davvero quei dieci anni). Se non avete già letto Q, ma Altai v'incuriosisce, allora: buona lettura. Come è stato ribadito più volte dagli autori, Altai fa storia a sé.

11 marzo 2010
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