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Istantanee dell'assurdo. Beckett & Beckett.

Istantanee dell'assurdo. Beckett & Beckett.
di Alessandra Bernocco

La fine è nel principio eppure si continua

Samuel Beckett
(20 luglio 2019) Mister Beckett ci accompagna attraverso i quattro piani del palazzo, lungo le scale, nelle stanze o di fronte alla porta degli ascensori, su fino in terrazza, da cui Roma si tocca con mano. Itineranti noi, ai tavolini lui, gambe accavallate e sorrisetto beffardo, ci osserva da sotto gli occhialetti tondi e inutili in fronte. Sulle spalle il maglione irlandese, bianco e legato sul petto, degagée quanto basta sull’abito nero. Pronto per concedersi a uno scatto con noi, tra Dublino e i fori.






Si tratta dell’installazione di Raffaele Curi, Lane da Dublino, parte della mostra Istantanee dell’assurdo Beckett & Beckett allestita presso gli spazi di rhinoceros gallery, il palazzo progettato per Alda Fendi da Jean Nouvel, sede delle proposte e delle sperimentazioni artistiche e culturali della Fondazione Alda Fendi-Esperimenti.



Un viaggio beckettiano che inizia al piano terra, con la monografica dedicata a Giorni felici da Tommaso Le Pera, il fotografo del teatro italiano, colui che da decenni immortala nei suoi scatti magnifici le emozioni più forti che dà il palcoscenico.



Qui è presente con settanta immagini per dieci allestimenti, che vanno dall’85 al 2016.  Una sfilata di Winnie femmine e maschi, attrici e attori, con buona pace dei signori eredi e del loro passatempo preferito che consiste nell’interdire (nel tentar di interdire) per svariate ragioni artisti e produttori. Tant’è che Riccardo Caporossi dovette reinventarsi il titolo in Altri giorni felici e Roberto Bacci, regista di un passato Aspettando Godot con le sorelle Pasello, dovette ricorrere alle pari opportunità.



Winnie sorprese in sequenze successive offrono a chi guarda l’occasione di ripercorrere non solo la piéce in due movimenti che vedono la protagonista sepolta fino alla vita e fino al collo, ma anche i differenti modi in cui registi e scenografi hanno pensato alla montagna.



C’è la montagna fatta di sabbia o di terra (Antonio Calenda per Anna Proclemer e Anna Marchesini nella sua stessa messa in scena) ma ci sono anche le tavole del palcoscenico da cui Winnie spuntava fuori da una sorta di botola (Giampiero Solari per Lucilla Morlacchi), c’è la montagna-clessidra di Mario Missiroli per Adriana Asti, e quella di Bob Wilson, per la stessa attrice, realizzata dalle sue celebri luci di taglio. C’è la montagna di corpi umani di Marco Isidori per Marcido Marcidorjs e quella di carta pesta di Andrea Renzi per Nicoletta Braschi. C’è la struttura metallica in elevazione di Riccardo Caporossi e  la geometrica altura bianca di tela o cartongesso di Giancarlo Cauteruccio per Marion D’Amburgo. E ancora quella che Claudio Jankowsky realizzò nell’88 al Teatro  della Ringhiera, uno spazio di Trastevere che mi piace ricordare, animato e diretto da Franco Molé.



Insomma ci sono tanti Beckett e tantissime Winnie in questa carrellata di immagini, e il pensiero corre veloce a molte di loro, traghettato da uno sguardo stupito, dall’esplosione di un sorriso, da un ombrellino che sembra prendere il volo.



E un po’ seguendo il filo di lana irlandese siamo arrivati da Tommaso a Giancarlo Sepe, che al primo piano ci attendeva per raccontarci il suo Beckett e i suoi dublinesi amatissimi.



Tommaso Le Pera ha fotografato 72 spettacoli di Sepe e Sepe ha esplorato l’universo beckettiano in tutte le sue forme, mettendo in scena quasi tutto il repertorio.



Chi frequenta La Comunità, il suo spazio di Trastevere, unica cantina rimasta tale dagli anni settanta, sa bene che l’irlandese lì è di casa e ci dà il benvenuto ogni volta. 



E a Beckett Sepe riserva l’attenzione e anche l’affetto che nutre per un altro grande dublinese come Oscar Wilde, che “ha trasferito a Beckett il senso del paradosso”. Ma in realtà –spiega-  tutti i dublinesi sono variamente legati tra loro, da Yeats, il padre del teatro irlandese a George Bernard Shaw, allo stesso Joyce la cui scrittura come  flusso di coscienza arriva a Non io scritto senza punteggiatura.



E c’è qualcosa di simile a un flusso anche nella testimonianza di Sepe, di amabilmente disordinato, che sgorga per associazioni di pensieri e ricordi che vanno a comporre il suo ritratto di Beckett e la sua idea di teatro, sempre nel segno, rivendicato, del ‘tradimento’ (“La cosa più importante è tradire le attese”).



L’ironia sulla vita che è sempre lacerante, la seconda guerra mondiale che ha costruito panorami che sono la fine del mondo, il senso del paradosso che arriva attraverso battute parossistiche, la paura che il nuovo mondo possa essere peggiore di quello passato, sono tutti motivi che emergono dal suo discorso, e che fanno venire voglia di tornare a leggere Beckett, di incontrarlo più spesso, di condividere un po’ del nostro tempo con lui. Soprattutto con il Beckett che conosciamo di meno.



Sabato 20 luglio alle ore 19 è previsto un incontro con il regista Antonio Calenda e  l'attrice Francesca Benedetti che leggerà brani scelti da Molloy.



La mostra sarà aperta al pubblico tutti i giorni dalle 10 alle 22 fino al 23 settembre-



Ingresso libero



Via dei Cerchi 21



Roma



 



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20 luglio 2019
Articolo di
nostoi
Rubrica:
Teatro


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