Nostalgicamente crudo, passionalmente freddo.
Il mondo di John Fante è un gomitolo di emozionalità straripante eppure congelata.
Dimenticare le immagini tratteggiate nelle pagine dei suoi romanzi è impossibile.
Ti si attacca dentro,
Fante.
Getta ami sulle pareti della tua memoria e molto più giù,nella tua anima. Entra per non uscirne.
E' un graffio irrimarginabile.
Sarà per i suoi personaggi, alter ego di se stesso.
Tutte le loro storie, i patimenti, le grane, in realtà sono un po' tutte sue. Sarà perché la sua vita si riversa nella sua prosa con le sue sensazioni forti e le vicende sfocate ricostruite come suggestioni oniriche. Con il cinismo e la realtà di chi ha gli occhi aperti.
Nei suoi libri entra tutto questo.
E la poesia della scrittura è il suo valore aggiunto.
La sofferenza del corpo, dovuta al diabete, lo porterà alla morte dopo avergli strappato la vista e le gambe, che gli furono amputate.
La sofferenza, forse più tagliente, dell'anima lo accompagnerà sempre, dalla nascita nel 1909, all'infanzia povera e difficile, alla vita di scrittore, talentuoso e maledetto. Malattia, sofferenza. Morte.
Un figlio di immigrati italiani a Denver, in Colorado agli inizi del secolo scorso.
Così, l'aspirazione alla continua ricerca del riconoscimento e della realizzazione nella vita, diviene ispirazione ed espiazione nei suoi romanzi.
Il riflesso romanzato della vita.
Ricerca estenuante e continua. Ricerca palpabile in Sogni di Bunker Hill, l'ultimo romanzo, redatto sotto dettatura alla moglie quando già cieco e malato si avviava alla fine della sua vita.
Morirà un anno dopo, nel giugno del 1983, a 74 anni.
Giovanissimo, scrive La strada per Los Angeles e pubblica il primo romanzo Aspetta primavera Bandini, la storia di uno che “ di nome faceva Arturo, ma avrebbe preferito chiamarsi John. Di cognome faceva Bandini ma lui avrebbe preferito chiamarsi Jones. Suo padre e sua madre erano italiani ma lui avrebbe preferito essere americano... “ (Aspetta Primavera Bandini,1938).
Qui si delineano i grandi temi cari a Fante.
L'italianità in America, l'insoddisfzione dei padri, il rifiuto dei figli, la povertà e gli stenti, i vizi e gli errori. E qui, si delineano le fattezze dell'alter ego romanzato: Arturo Bandini, un giovane scrittore con la testa piena di idee e sogni, con le dita inchiostrate e il rumore dei tasti della macchina da scrivere al posto dei grilli, nelle notti afose. Qui Bandini diventa protagonista di una vera e propria "saga Bandini ".
Arturo, come John Fante, in perenne contrasto col padre Svevo: un padre italiano, duro e impenetrabile. Eppure padre da amare e comprendere. Con rabbia mista ad amore.
Arturo che sogna il cinema con le sue storie pensate per scorrere sulla pellicola.
Arturo che si strugge d'amore e il cuore gli si sfoglia e si aggrappa all'aria, come le pagine di idee sbagliate che turbinano verso il pavimento. In attesa dell'idea lucente.
Attesa. E' il luogo immaginario e persistente dell'intera pubblicazione di John Fante.
Il più straziante e vitale stato dell'anima umana.
Il tratto che svilisce e che tiene in vita.
Il ponte per qualcosa che arriverà, forse.
Il forse e il ponte sono il motivo per respirare.
E così l'attesa è continua ma irregolare.
Un po' stallo un po' corsa.
Si ferma, l'attesa, nel suo romanzo più conosciuto.
Quel Chiedi alla polvere che è tutto Arturo Bandini: scrittura,spiccioli e passioni tiepide. E' quasi un romanzo non-d'amore. O se di amore si tratta è l'amore respinto,di chi non si vuole ma si combatte. Per trovare se stesso più che l'altro.
L'altro è negli occhi neri della cameriera messicana Camilla Lopez. Un amore non corrisposto, perso dietro i rotoli di sterpaglia che ruzzolano sulla polvere chiara di una strada della periferia di Los Angeles. E il ricordo, alla fine, ve lo racconterà la polvere: “Chiedete alla polvere della strada! Chiedete alle iucche che si ergono solitarie ai margini del Mojave. Chiedete loro di Camilla Lopez, e sentirete sussurrarne il nome” (dal Prologo,Chiedi alla polvere,1939).
Seguono i racconti sui dago, gli immigrati di origine italiana o spagnola, di Dago Red del 1940. Segue Full of Life, grazie al quale Fante lavorerà alla sua prima ed unica sceneggiatura per Hollywood, ottenendo una nomination all'Oscar.
E' uno spiraglio su quel sogno coltivato per la vita intera.
Ma è nel 1977 che vede la luce. La confraternita dell'uva, l'ultimo romanzo scritto di suo pugno che è forse il momento più altro della prosa magica di John Fante. E' questo probabilmente il più struggente, denso e lucido estratto di sé. Ancora protagonista uno scrittore a raccontare una storia, ancora storia di padri e figli, ancora di rapporti difficili di
italiani in America.
C'è un filo di malinconica rivalsa che attraversa queste pagine, rigo per rigo.
Eppure, come in tutti i suoi romanzi, la rivalsa non ci sarà.
La scrittura è veloce. Secca. Così incisiva da pesare come i macigni spostati dal coprotagonista, il muratore Nick Molise, padre ubriacone e caparbio dell'arrivato scrittore hollywoodiano Henry Molise.Henry, un Bandini cresciuto, è il John Fante della maturità piena.
La confaternita dell'uva è una costruzione epica e finale, che è si materiale, perché la storia ruota attorno alla realizzazione di un camino, costruito da Nick e Henry. Pietra su
pietra. Gomito a gomito.
E' soprattutto però la costruzione di uno
spazio condiviso e agognato, quello spazio padre-figlio raggiunto troppo tardi per poter essere vissuto. E' la storia di Nick, capostipite della prima generazione di italiani americani,ancorati fortemente alla patria abbandonata per necessità e in disaccordo morale, sociale e culturale con i propri figli e con gli americani stessi. E' la storia dei figli,arrabbiati e incompresi. Ibridi cittadini del nuovo mondo.
La bellezza del romanzo, perché di bellezza pura si tratta, è tutta nell'odore persistente e fruttato dell'uva che ti prende alle narici. E' nel sapore del chiaretto di don Musso. E' nel vento che attraversa la vigna arsa dal sole. E' nella scia dei calli delle mani di Nick Molise.E' nel peso delle pietre levigate.
E' una storia che coinvolge la mente, sconvolge la postura, mentre si fa leggere,tanto è pregnante.
Al di là dell'ironia cinica di sempre,quello che rende indimenticabile il romanzo è il nodo alla gola costante che sale spesso agli occhi e li fa lucidi.
Pagina dopo pagina.
Un dolore sottile, che c'è e non riesci a spiegare.
Che vorresti far passare e non sai come. Un malessere totale e incantevole. Commovente. Avvolgente.
L'attesa qui si muove. Scivola sul difficile terreno delle naturali incomprensioni generazionali, accresciute dalla vita in un paese vissuto come estraneo e avvertito come nemico.
Si muove eppure stagna.E' in questo non movimento tendente all'infinito e dunque fermo, che si svolge l'attesa. L'ineluttabilità di ciò che non arriverà mai si concretizza nelle pagine e nel titolo di Un anno terribile, romanzo postumo e profetico delle memorie dell'autore.
La primavera di Bandini arriverà? Lui l'aspetta.
Per ora,l'anima è intrappolata da quell'inverno americano che gela la mente e le emozioni.
Ma non il pensiero.Perché il pensiero è un formicolio continuo.
Così, è la malinconia che porta a pensare che l'attesa per qualcuno infine si completa.
Per qualcuno dura una vita intera...
NOTA:
John Fante arriva i Italia grazie all'intuizione della casa editrice Marcos Y Marcos e grazie alla raffinata traduzione di Francesco Durante,giornalista e critico letterario che più di tutti ha contribuito alla riscoperta in Italia dell'autore.
Marcos y Marcos ha da poco dato alle stampe Una vita piena una biografia completa di John Fante,curata da Stephen Cooper.
E' invece edito da Mondadori,nella collana I Meridiani, Fante la raccolta di tutti i romanzi e i racconti di John Fante
Veronica Turiello