Il contrasto nel suo approccio artistico è costante, evidente, vissuto sul filo di tradizione/innovazione. La dolcezza degli antichi cantori napoletani, la melodia, stride con gli umori della modernità. E non basta qualche loop e un po' di elettronica per ricucire lo strappo. Ma questo può regalare delle suggestioni, come un cammino-processione di suoni e parole, di umori e sogni , vissuti nella solitudine della carne, tra le parole sussurrate a mezza voce. I tappeti sonori (tutti rigorosamente registrati senza nessuna variazione nel “live” set del Beba do Samba nel quartiere San Lorenzo di Roma) non regalano di per sé grandi sorprese, nonostante la buona qualità. Restano occasioni, nonostante l'impegno di Rocco de Rosa, per musicare un recitato che diventa flusso di coscienza, rap partenopeo che non di rado rischia di cadere nel kitsch. Lo spettacolo è tutto lì, nella voce scarna, nel teatro povero che fa da scenografia, nell'uso plastico del dialetto, tutto ironicamente giocato sulle passioni passate e future, su un registro colto e popolare di “love songs” che passa dalla classica “Passione”, cantata sul disco a tre voci con Beppe Servillo e Maria Pia de Vito, per arrivare a “Miserere” , una sorta di preghiera cantata, che si avvale nella registrazione originale della tromba di Paolo Fresu e delle immagini di Antonello Matarazzo, al rap-soul di “Friariella”. Tappe di una performance assai personale, fatta di piccoli riti, siparietti, passioni amorose, che scava nella forma del teatro-canzone.
di Dario Ameruso
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