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Astronomia dell’antica Cina

Astronomia dell’antica Cina

(11 gennaio 2009) Tra le primissime civiltà ad alzare lo sguardo verso il cielo ed a cercare un'interpretazione coerente dei fenomeni che ciclicamente vi si potevano osservare, quella cinese merita senz’altro un approfondimento.
Fatto non da poco, tanto per cominciare, è la datazione delle prime osservazioni sistematiche degli astri, che risale a circa quattromila anni fa, mentre in occidente lo studio meticoloso del cielo ed i primi veri sistemi cosmologici non nacquero prima del XV secolo dopo Cristo. Inoltre, l’approccio che il popolo cinese, ed in generale tutto l’estremo oriente, aveva verso i fenomeni celesti era molto differente da quello utilizzato ad esempio tra gli egizi o i greci, il cui interesse era dedicato quasi esclusivamente ai cicli eliaci dei pianeti e degli astri principali. Per gli astronomi cinesi, l’interesse maggiore era focalizzato sulle costellazioni, specialmente quelle circumpolari (ovvero l’insieme degli astri che, per la loro vicinanza prospettica al polo celeste sono sempre visibili e ruotano intorno ad esso senza mai sorgere o tramontare), e su eventi sporadici e spettacolari come eclissi, il passaggio di comete o esplosioni di supernovae.

I più antichi reperti ci raccontano la storia di un popolo che, sotto la dinastia Shang, traeva spunto dai fenomeni celesti per interrogare gli dei, formulando delle vere e proprie domande che venivano incise su piastroni di tartaruga o ossa di animali, le ossa “oracolari” appunto, per poi essere esposte al calore e cercare nelle increspature che ne risultavano il consiglio favorevole o meno. Su queste stesse ossa, sono state documentate una miriade di osservazioni celesti ed informazioni sul metodo per il calcolo dei solstizi e sul primo calendario di queste popolazioni: pare che il più antico periodo di tempo considerato dai cinesi non fosse l’anno, ma una serie di combinazioni di cicli di 60 giorni, vale a dire due lune, ognuno dei quali era poi diviso in 6 periodi di 10 giorni ciascuno.

Dopo le dinastie Shang e Chou, nel 200 avanti Cristo circa, avvenne la cosiddetta “unificazione della Cina”, per mano di Ch’in Shih-Huang, che nel 213 avanti Cristo ordinò il “rogo dei libri” per cancellare ogni memoria dei precedenti signori della guerra. Purtroppo, con questa forma di censura vennero anche perdute importanti informazioni sulle attività scientifiche svolte fino a quel momento. Tuttavia, nei secoli a seguire l’attività di registrazione e documentazione fu continua e strutturata, con fonti che continuano fino ai tempi moderni. A partire dalla dinastia Han, gli astronomi cinesi osservarono e registrarono quasi tutti i fenomeni celesti visibili ad occhio nudo e già duemila anni fa erano stati scritti libri di astronomia teorica. Non solo, essi si preoccuparono anche di ricostruire quanto più era possibile del sapere precedente ed è proprio agli astronomi di questa dinastia che dobbiamo ciò che oggi si conosce dell’antica astronomia cinese.

Abbiamo così testimonianza dei primi sistemi cosmologici dell’antica Cina: le teorie sulla struttura dell'Universo più seguite furono certamente tre.

La teoria del “Gai Tian”. Le popolazioni antiche dedite all’agricoltura associavano la forma del cielo a quella di una tenda mongola. La forma della Terra era quadrata, quella del cielo emisferica e il cielo combaciava perfettamente con i 4 lati della Terra. Tale teoria scomparve dalla scena perché minata alla base da una incredibile contraddizione: un quadrato (la Terra) e un cerchio (il cielo) non possono combaciare perfettamente!

La teoria del “Hun Tian”. Il punto essenziale di tale teoria sta nel considerare il cielo sferico e, dato che la Terra è immersa nel cielo, è anch’essa sferica. Tratto dal “commentario sulla sfera celeste” di Zhang Heng: «il cielo è come un uovo di gallina, ed è rotondo come una pallottola di balestra; la Terra è come il tuorlo e giace sola nel suo centro. Il cielo è grande, la Terra è piccola. Nella parte inferiore del cielo c’è l’acqua. Il cielo è sostenuto da Qi (vapore) mentre la Terra galleggia in questa acque. D’estate il vapore sale, e di conseguenza anche la Terra si innalza fluttuando, la sua distanza dal Sole diventa minore, per cui la temperatura si alza; d’inverno il vapore è piuttosto fluido, di conseguenza la Terra si abbassa e la temperatura scende».

La teoria del “Xuan Ye”. Per la prima volta nella storia della conoscenza umana si nega l’esistenza di un cielo con forma e sostanza considerandolo semplicemente sconfinato. Quell’idea dell’Universo limitato presente persino nel sistema copernicano era stata così superata con largo anticipo dagli astronomi cinesi che furono tra i primi a concepirlo infinito, con questa teoria.

Il grande cerchio del cielo, o equatore celeste, veniva diviso in 28 sezioni d’arco chiamate Hsiu, “case”, che rappresentavano le divisioni politiche originarie della Cina, e il cielo intero era ulteriormente suddiviso in circa 250 piccole costellazioni, composte da circa 6 stelle ognuna. Tale mappa rimase in uso fino al XVII secolo, finché i gesuiti non introdussero in Cina le costellazioni occidentali.

L’assenza di somiglianza con le costellazioni occidentali e le importanti intuizioni sulla sfericità della Terra e sulle dimensioni dell’Universo derivanti dalle teorie cosmologiche, testimoniano lo sviluppo precoce ed indipendente di queste civiltà. Durante la dinastia Han il ruolo dell’astronomia divenne così importante che fu creata una speciale divisione del Ministero dei Sacrifici di Stato, l’Ufficio Astronomico, che divenne un ente governativo in piena regola, con l'incarico di osservare il cielo, interpretandone correttamente i segni celesti, e di mantenere aggiornati il calcolo del tempo e del calendario.

La società cinese del tempo era tipicamente agricola, ragion per cui il calendario era considerato il regolatore di tutte le attività. Si credeva anche che vi fosse una profonda connessione fra cielo e azioni umane: gli astri ed i comportamenti umani si influenzavano a vicenda. L’astronomia aveva quindi il compito di studiare il rapporto di armonia tra i fenomeni naturali e l'uomo. Quando avvenivano calamità naturali, si pensava che fosse venuta meno l’armonia e che andasse ristabilita al più presto. I cinesi consideravano inoltre l’imperatore qualcosa di divino, che era tale per volere del cielo e di conseguenza tutti i fenomeni che si verificavano sulla volta celeste avevano un evidente riscontro sul comportamento e le decisioni dell’imperatore. Era per questo forte legame tra i fenomeni celesti e la vita dell’imperatore e della nazione, che gli astronomi della corte reale cinese erano responsabili con la loro stessa vita dell’esattezza delle loro previsioni. Tale concezione era talmente radicata nell’animo dei cinesi che quando nell’ottavo secolo avanti Cristo il calendario non fu più in sintonia con le stagioni, nessuno pensò di correggerlo ma si destituì il Sovrano, poiché non aveva mantenuto l’armonia e quindi aveva perduto il “mandato del cielo”.

Bibliografia:
[1] "Il calendario cinese e quello indiano", di Giuliano Romano
[2] "Sotto lo sguardo del Drago, il cielo dell’antico oriente", di Annalisa Ronchi

di Carmelo Primiceri

[s]
11 gennaio 2009
Articolo di
carmelo
Rubrica:
ProfondoSpazio


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