Le notizie ci bombardano senza tregua: le banche rischiano il fallimento (ma non temete…lo Stato salverà i correntisti!); aumentano i pignoramenti immobiliari perché non ce la facciamo più a pagare i mutui (per inciso … a quelle stesse banche che rischiano il fallimento); crolla persino la spesa al supermercato.
Allora è necessario governare con decreto legge, perché non c’è tempo per discussioni alessandrine nelle aule del Parlamento; va bene se la Corte Costituzionale funziona a scartamento ridotto, perché non c’è tempo per mettersi d’accordo sull’elezione dei membri di nomina parlamentare; bisogna che scuola e ricerca costino meno alla collettività, perché le risorse vanno impiegate per garantire la sicurezza contro gli extra-comunitari ladri e fannulloni e gli studenti sovversivi e sobillatori.
Tutto questo si può e si deve fare, perché, ci dicono, è quello che la maggioranza degli italiani si aspetta da un Governo in epoca di crisi.
L’unica conseguenza logica di queste affermazioni, tuttavia, è che la maggioranza degli italiani dovrebbe pensare che i propri figli (gli studenti sovversivi e sobillatori di cui sopra) siano inetti che manifestano solo per fare caciara e marinare la scuola, senza reali motivazioni (il merito delle quali, evidentemente, non conviene discutere). E dovrebbe pensare sia bene che qualcuno, con un po’ di “sane” manganellate, riporti l’ordine e insegni loro la disciplina.
Così dimentichiamo, però, che sotto le manganellate (anche se solo annunciate e poi ritrattate), con quei figli inetti, finisce anche il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, che significa (ahi noi!) anche diritto di critica.
Il sacrosanto riconoscimento di tale diritto è contenuto nella Costituzione della Repubblica Italiana.
Orpelli inutili, fastidiosi lacciuoli che non si addicono ad un governo efficace ed efficiente?
Quella stessa “obsoleta” Costituzione aveva previsto (in un tempo lontano lontano…) che a dettare le leggi che regolano il vivere civile fosse un Parlamento di rappresentanti liberamente eletti dai cittadini.
Aveva anche previsto che la funzione legislativa (quella appunto di dettare leggi) non fosse delegata al Governo, se non per un tempo limitato, per oggetti definiti e previa determinazione da parte del Parlamento di principi e criteri direttivi (sono i cosiddetti decreti legislativi).
Quegli “antichi saggi” (..ma non solo loro..a dire il vero funziona così praticamente in tutte le democrazie del mondo almeno da duecento anni a questa parte) ritenevano quindi di fondamentale importanza, al fine di preservare la democrazia, che il Governo governasse sulla base di leggi che il Parlamento stabiliva.
Ciò è tanto vero che si prevedeva che soltanto in casi straordinari di necessità e urgenza il Governo potesse emanare decreti legge, e cioè provvedimenti provvisori con forza di legge che perdono efficacia se entro 60 giorni dalla loro entrata in vigore non vengono convertiti in legge dal Parlamento. Lo strumento del decreto legge era stato previsto esclusivamente per regolamentare situazioni di emergenza di tale gravità da non poter attendere i tempi fisiologici del dibattito parlamentare.
Del resto, un dibattito parlamentare concentrato in 60 giorni, nella consapevolezza che non convertire il decreto significa indebolire il Governo di fronte all’
opinione pubblica e creare spaccature, è all’evidenza un dibattito viziato.
Tutte queste cautele approntate nel separare chi fa la legge da chi la applica sembravano necessarie poiché gli uomini si sono costituiti in società per vivere meglio e per difendere la loro libertà e, affinchè ciò sia possibile, appariva indispensabili che il potere dello Stato non fosse mai senza limiti.
Per lo stesso motivo, si voleva che anche il lavoro del Parlamento ( e del Governo nei limitatissimi casi in cui dettasse legge) venisse sottoposto a controllo da un organo, la Corte Costituzionale, la cui composizione era pensata come un’armonia delicata tra diverse esigenze: assicurare giudici imparziali ed indipendenti, garantire un elevato livello di competenza tecnico-giuridica, rendere possibile un confronto tra esperienze, culture, sensibilità non totalmente scollegate dalle altre istituzioni politiche. Mancando una di queste componenti, l’armonia si perde e ne risente il funzionamento dell’orchestra.
Insomma, un sitema di limiti (perfetto per quanto possa esserlo una creazione umana, contingente, “storica”) a garanzia dei diritti di tutti e di ciascuno. Oggi ci dicono che questo
equilibrio non serve più. Ci dicono che non è importante che sia il Parlamento a fare le leggi, perché è più pratico approvare tutto in 7 minuti di Consiglio dei Ministri. Ci dicono che non è importante che la Corte Costituzionale funzioni a pieno regime e nella completezza dei suoi membri. Ci dicono che gli “eletti” hanno mandato di fare qualunque cosa e dunque sono potere senza limiti. Ci dicono sostanzialmente, quindi, che non sono importanti i nostri diritti. E noi? Acconsentiamo, perché lo spettro della recessione giustifica tutto.
di doriana vencia