Una scena composta da griglie di ferro, graticole di fuoco pronte a liberare pericolose fiamme dal sottosuolo, a sbriciolare pagine di
storie trattenute, a spaventare gli uomini che cercano la differenza.
E tutto perciò diventa grigio: le pareti grigie, il cielo grigio, gli umori
grigi, le case grigie, il tono della voce grigia che risuona metallica; il futuro grigio, come la cenere di cosa si è spento.
Uno spazio post-moderno dove per una strana “logistica” di scena i vuoti e i pieni cambiano come nelle fabbriche metallurgiche, con l’ausilio meccanico dei “muletti”.
Unici altri toni permessi: il rosso e il giallo del cherosene, i colori del petrolio che brucia…oppure il giallo degli elmetti dei vigili del fuoco, i soli che possono decidere le sorti dell’incendio, i soli che ancora possono salvare gli uomini dalle fiamme…
...ma i vigili del fuoco sono diventati vigili del sapere e della conoscenza, militari armati contro le parole che trasportano emozioni, loschi guardiani dei sentimenti e delle idee, della vita che scorre fra le persone, di quel patrimonio comune che è la memoria.
E fra questi automi guardiani, guidati da un narcotico imperativo “liquido”, un bieco senso comune distribuito dai media sotto la spregevole forma del consumismo, due grandi interpreti del testo: Alessandro Benvenuti (Beatty), in quelle sue drastiche espressioni del volto, e Fausto Russo Alesi (Montag), l’attore più contemporaneo che Ronconi potesse scegliere per questa sua disperante visione della cultura andata in fiamme.
Allo stesso modo sapiente e pungente Elisabetta Pozzi (Clarisse), l’anima di una “resistenza” gentile e forte alla sopraffazione subdola e ingiusta della mediocrità e del conformismo, che ha saputo convincere della questione sempre più attuale della standardizzazione incosciente (e non sempre inconsapevole!) del pensiero e del piacere, del desiderio e degli intimi paesaggi.
L’immagine più suggestiva: quella del vecchio che si nasconde vigliaccamente perché ha paura di affrontare il presente, senza avere più forza intellettuale con la quale combattere.
Appassionante anche il giovane Montag, confuso e infelice, che non riesce più a comunicare con la moglie impasticcata e videodipendente (la bravissima Melania Giglio) né con il “comandante” che vorrebbe suo maestro, e neppure con quella giovane donna di cui meravigliosamente si innamora e che rappresenta, ancora, quel possibile cambiamento spirituale, la conoscenza…e così si rifugia, senza abilità, nelle parole/citazioni convincenti del vecchio.
Tutto finisce fuori dalla città, sui binari del treno, in periferia, forse in campagna, dove il
giovane milite del fuoco ravveduto, ma in fuga, incontra i “partigiani” della memoria in un luogo sospeso e surreale: il palcoscenico.
Alcuni personaggi/spettatori si rialzano dalle poltrone della platea per raggiungere la scena dove raffigurano claudicanti le sembianze dei più nobili autori di libri che per fortuna non abbiamo ancora dimenticato.
La riserva, in questa apocalittica e impressionante rappresentazione: il tempo della messa in scena che sciupa purtroppo le tensioni e gli impulsi intessuti sapientemente nell’opera originale.
Chiara Merlo