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Molteplici finali alternativi

Molteplici finali alternativi

(20 ottobre 2010)

La fine dell'altro

"È difficile notare quello che vedi tutti i giorni"
(David Foster Wallace)


Quanto sono piccoli i nostri spazi? Quale stato d’animo nel vivere le nostre (non)relazioni? In che angolo della nostra coscienza abbiamo relegato il confine tra la realtà e la percezione di essa? Spesso, anche da queste pagine, si è parlato delle trappole insite nel modello di società verso cui stiamo navigando. Viviamo vite accelerate, frenetiche, nevrotiche, esistenze in cui “stress” e fobie ci accompagnano costantemente.

Abbiamo perso il senso di quello che facciamo, siamo moto senza direzione, le nostre azioni si compiono quasi che non siamo noi a compierle e delle conseguenze poco o nulla importa. Priviamo ogni giorno i nostri figli del tempo della crescita, e noi stessi ci stiamo imbarbarendo, diventiamo poveri, di una povertà che non si risana poiché è il risultato di una vita votata al rifiuto degli altri: esclusione a priori. Per paura.

Chiediamo alla tecnologia di sopperire, e tutto, dai veicoli ai telefonini passando per i computer, si adegua per creare sicurezza laddove potrebbe esserci rischio. Alziamo steccati sempre più vicini, sempre più stretti, a scapito dei rapporti sociali, che vengono di conseguenza gestiti da fuori.
Così, una relazione vissuta al di fuori dei propri spazi, al di qua di un muro di bit, diventa una non-relazione, resta innocua, cresce in una non-società, ed è qualcosa di veramente facile da cestinare.

Occhi e mani sostituiti da monitor e tastiera. Difficile accorgersi che in realtà essa continua a vivere nella nostra (non)coscienza anche a terminale spento. Lentamente sposta il confine con la realtà che ci sta intorno nella maniera più orribile, spingendoci cioè a credere che tutto può essere spento, cestinato, eliminato. Altro che innocua. Come spiegare altrimenti la violenza fuori e dentro le mura domestiche cui assistiamo ogni giorno? Milano, Oleg Fedchenko viene lasciato dalla ragazza, affida alla rete la sua rabbia, annuncia che ucciderà la prima persona che incontra; poco dopo Emlou Arvesu trova la morte per strada, solo perché passava di lì. Roma, Maricica Hahaianu riceve un pugno in piena faccia da Alessio Burtone, per motivi futili, sempre più futili; in coma irreversibile morirà dopo pochi giorni. Pescara, una ragazza redarguisce un uomo, Arsenio Ciampoli, che faceva i suoi bisogni liberamente per strada; massacrata di botte senza contraddittorio in pieno centro. Ancora Milano, Luca Massari, tassista, investe involontariamente un cane senza guinzaglio, mortificato scende dall’auto per scusarsi; Piero e Stefania Citterio lo pestano a calci e pugni mandandolo in coma ed incendiando per giunta l’auto di un testimone. La violenza come forma di (non)comunicazione, affermazione di sé svuotata di contesto sociale, indifferenza di fronte alla vita dell’altro, inadeguatezza a gestire il sentimento del prossimo, incapacità a credere in una propria utilità oltre i propri interessi. Gli spazi sociali diventano possibili trappole mortali, nessun posto è sicuro, bisogna attrezzarsi di conseguenza, alimentando così il circolo vizioso. Nella recrudescenza di atti violenti e nell’enorme aggravante dei futili motivi non si può evitare di leggere una pericolosa deriva che prima o poi potrebbe cambiare le vite di ognuno di noi. Sempre più provati e meno scandalizzati, oltremodo anestetizzati, quanto tempo ancora la nostra consapevolezza potrà fermare l’impulso di cancellare l’altro?


di Carmelo Primiceri

20 ottobre 2010
Articolo di
carmelo
Rubrica:
Società


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