"È difficile notare quello che vedi tutti i giorni"
(David Foster Wallace)
Occhi e mani sostituiti da monitor e tastiera. Difficile accorgersi che in realtà essa continua a vivere nella nostra (non)coscienza anche a terminale spento. Lentamente sposta il confine con la realtà che ci sta intorno nella maniera più orribile, spingendoci cioè a credere che tutto può essere spento, cestinato, eliminato. Altro che innocua. Come spiegare altrimenti la violenza fuori e dentro le mura domestiche cui assistiamo ogni giorno? Milano, Oleg Fedchenko viene lasciato dalla ragazza, affida alla rete la sua rabbia, annuncia che ucciderà la prima persona che incontra; poco dopo Emlou Arvesu trova la morte per strada, solo perché passava di lì. Roma, Maricica Hahaianu riceve un pugno in piena faccia da Alessio Burtone, per motivi futili, sempre più futili; in coma irreversibile morirà dopo pochi giorni. Pescara, una ragazza redarguisce un uomo, Arsenio Ciampoli, che faceva i suoi bisogni liberamente per strada; massacrata di botte senza contraddittorio in pieno centro. Ancora Milano, Luca Massari, tassista, investe involontariamente un cane senza guinzaglio, mortificato scende dall’auto per scusarsi; Piero e Stefania Citterio lo pestano a calci e pugni mandandolo in coma ed incendiando per giunta l’auto di un testimone. La violenza come forma di (non)comunicazione, affermazione di sé svuotata di contesto sociale, indifferenza di fronte alla vita dell’altro, inadeguatezza a gestire il sentimento del prossimo, incapacità a credere in una propria utilità oltre i propri interessi. Gli spazi sociali diventano possibili trappole mortali, nessun posto è sicuro, bisogna attrezzarsi di conseguenza, alimentando così il circolo vizioso. Nella recrudescenza di atti violenti e nell’enorme aggravante dei futili motivi non si può evitare di leggere una pericolosa deriva che prima o poi potrebbe cambiare le vite di ognuno di noi. Sempre più provati e meno scandalizzati, oltremodo anestetizzati, quanto tempo ancora la nostra consapevolezza potrà fermare l’impulso di cancellare l’altro?
di Carmelo Primiceri