Immaginate cosa sarebbe stata la guerra fredda se una delle due fazioni avesse avuto a disposizione i poteri 'non convenzionali' di un supereroe.
Quale sarebbe la reazione della società civile?
Chi sarebbero questi eroi?
Sono gli spunti dai quali Alan Moore e Dave Gibbon sono partiti per arrivare a Watchmen.
Sociopatici, esaltati, in cerca di fama, mercenari. Lungi dall'essere gli eroi senza macchia e senza paura del fumetto classico, i giustizieri di Watchmen (DC Comics 1986-1987) utilizzano la maschera per difendersi da una società che li ha ripudiati. Watchmen conclude e porta alle estreme conseguenze un ciclo crepuscolare dell'idea di giustiziere mascherato; un'età matura del fumetto che ha aiutato ad approfondire il tratteggio del carattere dei singoli protagonisti, introducendo elementi problematici e moralmente ambigui (quando non chiaramente deprecabili) e donando ai personaggi quell'aurea irresistibile dell'anti-eroe.
Tramonta l'idea naïve della linea netta che divide bene e male, giusto e sbagliato. Nell'universo creato da Moore e Gibbon non c'è nessun super-criminale da fermare. I protagonisti combattono contro la quotidianità e l'egoismo per scongiurare una fine del mondo non così surreale.
L'ottima regia dietro Watchmen, sposa testo e sceneggiatura in un intreccio indissolubile che si dipana tra storie parallele, fumetti nel fumetto, in un background realistico di fanta-politica e fanta-sociologia. Un esercizio d'inventiva che, tramite il superuomo, ci porta a indagare l'uomo.
Un punto di rottura che ha portato il fumetto a trasformarsi da creazione narrativa per l'adolescenza a romanzo illustrato (graphic novel) dedicato a una platea più esigente.