Certo le stravaganze non sono cosa nuova per Ribot, da sempre assorbito da mille progetti e collaborazioni (Tom Waits, J. Zorn, in italia Vinicio Capossela, per dirne solo alcuni), da sperimentazioni e rivisitazioni musicali che spaziano dal free-jazz al rock, fino ad arrivare alla musica da camera e da film, passando per alcuni deliziosi album sui classici della musica cubana.
Il trio composto da Ches Smith alla batteria, percussioni e parti elettroniche, Shahzad Ismaily, basso e moog, e da Ribot alla chitarra, ha un'estrazione sicuramente jazz, ma la cosa risulta assolutamente secondaria nel nuovo album “Party Intellectuals”. Il sound è di natura rock (volendo dare un accezione larga al termine), basta ascoltare la cover iniziale di “Break on Trough” dei Doors, suonata ad una velocità punk, con la voce di Ribot che sembra arrivare da lontano e la chitarra martellante e selvaggia.
Di non facile ascolto, il lavoro inserisce alcune parti elettroniche che ricordano a momenti le traiettorie dei Talking Heads. È il caso del brano che dà il titolo all'album “Party Intellectuals” in cui protagonista è il moog insieme al basso, mentre la chitarra compare nella parte finale, rompendo lo schema elettro-pop precedente. Direttamente dal party sembra uscire “Todo el mundo es kitsch”, una canzoncina ironica e, appunto, fortemente kitsch.
L'elettronica e altri effetti accompagnano “When we were young and we were Freaks”, brano recitato più che cantato. “Digital handshake” invece è pezzo strumentale (rivisitazione di un brano dell'italiano Alessandro 'Asso' Stefana) che parte da una base elettronica alla Tangerine Dream e su cui imperversa la chitarra di Ribot in un delirio free-jazz-rock.
Nel caos c'è anche spazio per l'incedere pacato e suggestivo, quasi cinematografico, di “Bateau” e “Shsh Shsh”, e ancora per l'approccio quasi mediterraneo della delicata “For Malena”, un brano che cattura per semplicità e bellezza e che per toni esce un po' fuori dalla cifra del disco.
Altro piccolo gioiello di “Party Intellectuals”, insieme a cose non proprio riuscitissime, è il brano “Girlfriend” guidato da chitarre distorte, ma su un ritmo pieno di personalità che a tratti ricorda qualcosa di orientaleggiante.
La strumentale “Midost” invece ha un'impronta forte guidata com'è da un intro jazz, ma che poi finisce per sconfinare con i suoi riff potenti nell' hard-rock. Stesso discorso ma con un po' di funk in più per “Never better” che chiude il disco.
Una sensibilità
musicale assolutamente trasversale (nonché una notevole qualità strumentale) guida il lavoro di Marc Ribot e soci, per un album di non facile ascolto e che ha sicuramente delle cadute, quando si adagia su alcuni schemi della musica pop che sembrano piuttosto dei pasticci.
Ma la forza di Ribot, oltre all'ironia e alla continua voglia di stupire, è questo smontare continuamente la musica a proprio piacimento e con il proprio stile, cercando di sperimentare nuovi percorsi difficili da etichettare, da inquadrare.
Un lavoro d'importanza forse non capitale, ma interessante per la sua carica di originalità.
di Dario Ameruso
MARC RIBOT'S CERAMIC DOG su MYSPACE