Come si è appreso i 13 ordini di custodia cautelare emessi dal Gip di Velletri Alessandra Ilari hanno visto protagonisti insospettabili professionisti e imprenditori quali il direttore tecnico e responsabile della gestione dei rifiuti degli impianti di termovalorizzazione di Colleferro, il procuratore e responsabile della raccolta dei multi materiali dell’impianto di una società di gestione di
rifiuti di Roma, i soci amministratori di società di intermediazione di rifiuti e di sviluppo di software e chimici di
laboratori di analisi.
I reati contestati, in questo caso, sono stati: associazione per delinquere, attività organizzata per traffico illecito di rifiuti, falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, truffa aggravata ai danni dello Stato, favoreggiamento personale, violazione dei valori limite delle emissioni in atmosfera e prescrizione delle autorizzazioni e accesso abusivo a sistemi informatici.
L’indagine ha consentito di accertare che nel sito veniva smaltito ogni tipo di rifiuto e parte del materiale arrivava di nascosto dalla Campania con l’aggiunta di rifiuti altamente tossici e pericolosi.
Come si può rilevare in questo episodio, e come è stato più volte messo in evidenza da altre operazioni di Polizia, gli eco malfattori rappresentano spesso persone insospettabili che ricoprono posizioni di vertice e che sfruttano illecitamente la loro attività.
Questi soggetti pongono in essere strategie criminali raffinatamente, elaborate costituendo di fatto dei veri e propri network criminali capillarmente organizzati e complessi.
Come hanno evidenziato alcuni studi sul ciclo dei rifiuti, ci si trova ad indagare su una “linea grigia” nella quale si intrecciano e interagiscono soggetti di diversa natura sociale ma col medesimo scopo di lucro.
Il dato che si rileva è che, dietro queste attività criminali, si cela la spietata logica degli affari, i cui artefici espongono a rischio, consapevolmente e senza scrupoli, la collettività.
Questi soggetti, inoltre, alimentano la cosiddetta economia illegale, camuffando attività illecite con altre apparentemente lecite.
Accanto a queste figure, infine, orbitano strutture completamente criminali che si costituiscono per realizzare finalità completamente illecite.
La realtà che si palesa è un fenomeno criminale complesso e spesso oscuro. Queste attività illegali cosi armonicamente operanti e organizzate vengono riassunte col termine “ecomafie” il quale designa, specialmente in tema di rifiuti, proprio questi intrecci tra soggetti dotati di uno status legale, quali appunto imprenditori di beni, pubblici amministratori, dirigenti, impiegati, professionisti ecc. (certamente riconducibili alla criminalità dei colletti bianchi) partecipanti a vario titolo alla gestione del ciclo dei rifiuti, con altre figure più opache quali faccendieri, mediatori ecc., fino a veri e propri esponenti di organizzazioni tipicamente criminali, specie di tipo mafioso, tutte però votate al medesimo scopo dell’arricchimento e del profitto.
Nelle forme più classiche di traffico illecito di rifiuti, e come si è riscontrato anche in quest’ultimo caso di cronaca, si ha la compartecipazione di un numero importante di soggetti.
Questi, tra l’altro, hanno dimostrato di avere una spiccata capacità nel predisporre e realizzare spostamenti di ingenti quantità di rifiuti, normalmente dalle zone di produzione (vds. Nord Italia) verso regioni meridionali e, in alcuni casi, anche verso paesi stranieri.
Singolare è poi il fatto che le persone coinvolte, pur appartenenti a cerchie sociali diverse, hanno fondato il loro vincolo associativo su un vantaggio economico comune: i produttori, alla ricerca di canali di smaltimento meno onerosi, spesso consapevoli delle modalità illecite del traffico al quale essi stessi danno origine; oscuri intermediari, capaci di soddisfare le richieste di economizzare sui costi di smaltimento; disponibili trasportatori, vera catena di trasmissione dell’ingranaggio, e così via.
Questo raffinato congegno criminale, come appurato anche in altre occasioni, si serve inoltre dell’apporto specifico e tecnico di esperti chimici che, attraverso la falsificazione dei certificati di analisi, riescono a mutare, sulla carta, la natura dei rifiuti e che, una volta declassati, li destinano ad impianti di stoccaggio per impieghi diversi.
In alcuni casi gravi si è giunti addirittura a "sversare" su terreni agricoli tali sostanze facendole passare per fertilizzanti, oppure seppellendole o bruciandole come combustibile, o infine ancora utilizzandole come materiali edili.
La seconda riflessione sulla questione rifiuti ci riporta inevitabilmente a una considerazione di politica criminale.
Vogliamo fare un breve cenno sul quadro normativo previsto in sede di riforma sulla questione penale ambientale e che dovrebbe aumentare l’efficacia di deterrenza.
Il 24 aprile 2007 è stato approvato dal Consiglio dei Ministri un disegno di legge delega recante “disposizioni concernenti i delitti contro l’ambiente”, disposizioni che dovrebbero allocarsi nel libro secondo del codice penale in un apposito titolo (il VI bis).
Del suddetto titolo dovrebbero far parte una serie di delitti dolosi, solo in taluni casi, colposi, tra i quali ricordiamo l’inquinamento ambientale, il disastro ambientale, l’alterazione del patrimonio naturale, della flora e della fauna.
In attesa che questa proposta possa diventare finalmente legge, vogliamo sottolineare come l’attività di repressione, ancora oggi, risulta essere poco efficace, in considerazione del fatto che spesso le pene previste per questi reati sono di modesta entità.
Sicuramente, ce lo auguriamo, grazie all’innovamento normativo in materia penale ambientale, nel futuro si guarderà con maggiore attenzione agli ecoreati, restituendo così all’ambiente una giusta dignità e salvaguardia, e una adeguata punizione ai cosiddetti ecocriminali.
di Alessandro Gagliano