E perché si dovrebbe, quand’anche scardinasse tutti i processi di stratificazione della cultura teatrale. E bisogna averne una figurazione mentale per averne anche il valore pieno e complessivo. Questo saggio vorrebbe si superasse finalmente ogni abusato e abusante strumento di rappresentazione descrittiva, quantitativa, della condizione interiore e collettiva del “dramma”. Alla base di ogni suggerimento: il movimento.
Considerare l’espressione in ogni singolo “gesto” per tutte le sue dinamiche intrinseche ed esistenziali, e mostrare in questo modo i contraddittori semantici in tutta la loro forza ed evidenza. Il corpo è parola e la parola è corpo. Questa l’intuizione non banale. Né facile da praticare. Al di sopra di ogni intimo significato. Perciò ricercare nella sospensione, nel passaggio all’atto, la drammaturgia piena di ogni frammento, specie relazionale, emotiva. Attraverso anche una sorta di radicalizzazione dell’altro.
Lo scopo principale di ogni scrittura scenica è superare le elaborazioni tecniche, anche quando riescono più convincenti delle proposte artistiche. Il percorso, di chi scrive, come di chi interpreta, non deve essere quello di arrivare nell’applicazione alla tecnicizzazione o tecnologicizzazione dell’opera, al virtuosismo, elucubrazione, della parola scenica perché risulti elaborata. Non è cioè parcellizzando, aggiungendo, mutilando, sofisticando, o generalizzando, che si elude il baratro incolmabile tra vita e forma. Il baratro è il vissuto nella sua pienezza.
E il teatro/vissuto diventa solo per questo arte superiore. Profondità letteraria. Superare perciò gli assoluti ideologici e le aree della drammaturgia “mimetica”, “futurista” e “pirandelliana”, per arrivare al “teatro totale”, dove non è necessario, né più opportuno, doppiare la realtà, descrivendola, anche sfaccettata, ma restituirla nella sua complessità e nel suo “movimento”, nel suo “dinamismo” (ma senza che diventi però semplicemente uno stile!...come era appunto per il futurismo), senza epoca e senza spazio, cogliendo nel “poco”, nell’immateriale che dura nel tempo, il senso duraturo del componimento…utilizzando tutte le arti possibili, secondo uno spartito che preveda tutti gli strumenti…e senza la necessità di attualizzare.
Assecondare invece il crollo, la maceria, il silenzio, ogni cancellatura di sé, attraverso il corpo, per comunicare ogni impulso percettivo, quasi a rallentatore, come se la scena diventasse il quadro dove penetra il mondo circostante, di tutti i tempi, e viceversa, e attraversare quella ferita/feritoia usando tutti i canali sensoriali. Con la fusione di più arti, allargare lo spazio rappresentativo, superare l’idea di cornice del testo e della scena.
E abbandonare finalmente, in particolar modo, l’idea che il teatro debba essere per forza spettacolo di massa!
Auspicare invece che il teatro diventi architettura linguistica, progettazione, realizzazione multiforme, dove ognuno dialoga col tempo, dove il passaggio dal corpo muto al corpo vivo è il passaggio dal cognitivo al percettivo (per ritornare al cognitivo). Solo attraverso il corpo vivo l’anima canta (e diventa scultura!). Fare in modo perciò che l’arte si sprofondi nell’assoluto, in un frammento che rimane “fissato”. Perché rappresentare sia diverso che raccontare…l’emozione dell’inatteso, visto o immaginato per un attimo. Se qualcuno pensa o crede che il teatro si stia impoverendo di significati e di immaginifico, questo testo (che pure parte da questo presupposto) stravolge ogni idea precostituita e “ideologicizzata” che si ha del dramma. L’autore si fa carico di una ribellione individualistica che se pure non riesce ancora ad essere rivoluzione piena e riconosciuta, lavora come sottile pensiero, assai raffinato, nel sotterraneo della conoscenza condivisa, cambiando in questo modo, anche se molto lentamente, e dovendo per necessità vincere delle grosse resistenze, quelle del “luogo” comune, il corso del divenire. Il consiglio è di leggere attentamente questo testo…agli addetti ai lavori, ma non solo a questi…perché tutti abbiano una visione più acuta, e anche più intima, del mestiere di fare teatro, e perché tutti possano scoprire il senso del teatro nel suo essere arte totale di tutti i tempi.
(Alfio Petrini, Teatro Totale, Titivillus Edizioni 2006)