Composizioni domestiche, nature morte, assemblano il passato al presente sopra oggetti preziosi, simboli di relazioni, di sopravvivenza, di ricordi stantii. Fiori che seccano sono il valore cromatico del bianco e del nero, e della decomposizione e del caldo. Semitoni soavi e patetici che pare affliggano i volti.
Piedi scalzi a mani nude: donne accovacciate con estrema fatica sono in posizione fetale, è così che impastano il cibo, per tutti. Balli e danze sperimentano la distanza che pure c’è fra la terra ed il cielo, e tra il mare e la morte, mentre è il fuoco che alimenta il mistero.
Il ritmo è sui volti sostenuto da espressioni forzate e seguendo incisioni precise. Il dinamismo di mani sui tamburi fa di ogni battito corporeo un’immagine percepita, mentre il fumo di sigari aleggia fuori campo e va...mentre spostiamo lo sguardo da una foto sull’altra.
Tetti di casa bassissimi e finestre isolate fanno di ogni angolo un pieno assoluto. I coltelli sono pericolosissimi, perché minacciano un al di là che ti si strofina addosso seducente e lussurioso. Denti stretti e smorfie di dolore motivano ogni sforzo contro tutti gli spiriti del male, e non c’è rinuncia.
Questo lavoro di rappresentazione è estremamente pregiato. Fortemente caratterizzati sono gli uomini e le donne messi dentro a scrupolosi e nostalgici scorci di luce, con gonne vorticose e turbanti, torsi nudi in primo piano eloquenti...intensissimi i vecchi che ridono. Occhi scuri e capelli corvini sono i colori ancora più densi dei bambini impauriti che scrutano dal fondo.
Caronia indaga la spiritualità e i riti afro cubani senza banali sovraesposizioni. Il bianco ed il nero sono il risultato di una scelta drammatica: sollevare il contrasto nel sincretismo, a conciliare, senza mescolare forzatamente, elementi culturali e sacri della religione cattolica con quegli altri antichissimi della tradizione africana, in particolare del Congo e della Nigeria.
Anche se lo spiritismo per il quale questa religione (conosciuta come Santeria) è famosa non ha alcun collegamento diretto con l'Africa, in realtà è una pratica che è servita a celare dietro l'iconografia cattolica le divinità che gli spagnoli schiavisti impedivano di adorare agli schiavi africani, che però in questo modo potevano essere invece liberi di adorarle senza incorrere nella crudeltà della pena di morte. Con questa pratica religiosa i dominatori spagnoli pensavano che gli schiavi, da buoni cristiani, stessero pregando i santi, mentre in realtà stavano di fatto conservando le loro fedi tradizionali.
Lo scopo dell’artista allora è stato proprio questo: restituire, documentare con attenzione e rispetto certe credenze complesse che si esprimono attraverso un vasto cerimoniale e un peculiare folklore.
Il laboratorio Corsetti è diventato per l’occasione uno spazio espositivo davvero molto interessante, di contaminazioni e culture, di memoria e riflessi.