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Teatro Valle - Roma

Teatro Valle - Roma

(11 marzo 2010) “L’Ebreo” di Gianni Clementi con la regia al neon di Enrico Maria Lamanna

Tre interpreti esaurienti, Emilio Bonucci e Pino Quartullo con una inedita Ornella Muti, per un epilogo tragico, seppure solamente tratteggiato, il solipsistico cammino dell’uomo raccontato attraverso un sardonico frammento di teatro.

Tutti ridono, e più ridono più il significato della pièce diventa un’atroce scarnificazione del sé.
Gli ebrei che hanno dovuto lasciare le loro case e le loro cose in mano ai loro servitori per andare a morire...hanno anche lasciato, in quella piccola idea di futuro che proprio più spesso coltivano i “servitori”, una falsa speranza di facile arricchimento.

Ma ogni arricchimento, proprio perché tale, è sempre ingiustificato, e spesso terribile conseguenza della morte fisica o morale degli altri.

E chi muore prima o poi torna a farsi rimorso, identificandosi proprio con il troppo denaro che hai accumulato senza farne buon uso, per un’anomala avidità sopravvenuta che sempre interessa chiunque si appropri di soldi non suoi.

La regia di questo testo è dolorosissima, il dolore s’insinua, noi inconsapevoli, attraverso le risate (come in contemporanee intercettazioni aberranti!).

C’è un salotto antico carico di divani pregiati e quadri enormi, lampade di velluto e tappeti persiani, svuotato di sentimenti e vita vissuta. Poi c’è uno specchio...un salotto abbandonato con tutte le sue cose, foto e ricordi. In questo salotto ora mangiano e dormono persone estranee, estranee a tutto quel lusso, estranee alle foto e ai ricordi.

Usurpatori particolari di una vita sottratta, insediatisi abusivamente, e con tanti scatoloni portati e lasciati in giro su cui inciampano in continuazione...

Fossero lì anche per concessione momentanea, in quel posto adesso si comportano come conquistatori, asserragliati contro ogni possibile attentatore, alla fine rinchiusi pur di continuare a possedere, ma cose che sono d’altri e in un ambiente sempre più cupo e deserto, dove si aggirano persone morte come ombre, strappate a forza per essere deportate.

Il senso di colpa ben presto si fa delirio di persecuzione. Un incubo fatto di disperazioni reso appieno in crescendo dalla regia. Una regia che privilegia il contrasto tra il “da dentro” e il “da fuori”, inserendo elementi di estraneità dalle finestre e dalle porte, inquietanti passaggi soprannaturali. Presenze nella casa che diventano ossessive.

Una sorta di “paranormal activity”...divertente però, con un romanesco modo di fare superficiale e posticcio di personaggi semplicioni e cattivi, ignoranti e cinici, attaccati alla ricchezza con tutta l’aggressività dei poveracci. Una lettura macabra di individuali incoscienti responsabilità ai più tragici drammi della storia che abbiamo vissuto e che viviamo. E ancora, purtroppo.

di Chiara Merlo

11 marzo 2010
Articolo di
nostoi
Rubrica:
Teatro


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