Multiversi roundbox
BUDDY GUY - “Skin Deep”

BUDDY GUY - “Skin Deep”
di Dario Ameruso

(04 novembre 2009) La formula è già collaudata: vecchio blues di Chicago tirato a nuovo, un chitarrismo caldo e brillante, ospiti che impreziosiscono alcune jam, una voce appassionata e molta esperienza alle spalle.
Questi gli ingredienti dell'ultimo lavoro in studio del mito vivente della vecchia generazione dei bluesman che insegnarono la musica del diavolo ai bianchi e la diffusero sulle platee internazionali.
Il livello generale del disco , scritto a quattro mani con il batterista Tom Hambridge è sempre buono con alcune jam che spiccano per qualità, vedi quella di circa sette minuti e mezzo (Everytime I sing the blues) con Eric Clapton 'mano lenta', che quando si ricorda potrebbe ancora somigliare a Dio.
Apre il disco l'energica “Best damn fool”, pezzo rappresentativo dello stile chitarristico di Guy che sicuramente andrà ad arricchire il già vasto repertorio nei live, che diventano di volta in volta show pieni di grinta, atmosfera e follia. I fiati danno smalto ad un arrangiamento molto valido che indulge forse troppo, nonostante l'ironia, nell'enfasi solistica della stratocaster di Guy.

Il secondo brano “Too many tears” annovera tra gli ospiti Susan Tedeschi alla voce e Derek Trucks alla slide. Nonostante la buona qualità e l'ottimo contributo di Trucks, il tutto sembra strizzare l'occhio alle radio.

Dopo un paio di pezzi non proprio innovativi che ricalcano uno stile già consolidato, si arriva al cuore dell'album: la già citata “Every time i sing the blues” impreziosita dall'apporto di Clapton che si diverte a suonare con il maestro e a “Out in the Woods” e “That's my Home” che Robert Randolph alla steel guitar, riesce a trasformare in brani potenti e a suo modo nuovi nel repertorio del nostro.

La title track “Skin Deep” è una ballata intensa che ha come tema il razzismo.
Suonata con molto feeling da Guy alla chitarra-sitar e da Derek Trucks alla slide è destinata a diventare un classico del repertorio.

A riportare tutto nella misura di un blues tradizionale, lento e d'atmosfera, ci pensano “Who's gonna fill those shoes” (curioso l'apporto di Quinn Sullivan bambino-chitarrista prodigio), una divertita vecchia metafora sul blues e “I found Happiness”, ultimi brani di un buon disco, suonato bene da una band di tutto rispetto, ma che forse non aggiunge nulla alla fama e alla bravura di quella che è forse l'ultima leggenda vivente del blues.


 © Multiversi Project 
Di link in link verso l'approfondimento
Contattaci
Ai sensi della Legge 7 marzo 2001, n.62, si dichiara che Multiversi.info
non rientra nella categoria di "informazione periodica" in quanto
viene aggiornato a intervalli non regolari.