Se pensate a Döblin, vi verrà subito in mente Franz Biberkopf che passeggia nei dintorni di Alexanderplatz, cercando di schivare quello “sgambetto” della vita maligna, quel fato che lo ha voluto fuorilegge. Leggendo Giganti (1932), però, rimarrete a bocca aperta. L'opera nasce come un germoglio da Monti, Mari e Giganti (1924).
Ma la prospettiva cambia.
La fondamentale piccolezza dell'uomo davanti alla natura si ribalta. E' l'umanità inquieta a dettare le regole della natura, a creare ere geologiche e a manipolare il magma e il ghiaccio. L'umanità e il proprio cuore pulsante: la macchina.
E la data di pubblicazione di questa opera di Döblin, non ci può non far pensare che di lì a poco tutto il mondo avrebbe conosciuto nella pratica, in un movimento politico in grado di forgiare il destino del mondo, lo stesso connubio tra progresso e primordialismo che fa l'atmosfera di questo libro. Con una narrazione che ha la potenza e la nitidezza di una visione profetica, l'autore ci accompagna tra le ere, in un continuo alternarsi di abbandono e repulsione nei confronti di un'iper-tecnica totalizzante. Mentre movimenti retrogradi e pulsioni luddiste nascono e muoiono. Come vanno e vengono personaggi che richiamano, fin dal nome, mitologie più antiche (vedi il Senatore Marduk e l'opposizione alla macchina-Tiamat, che ci riportano alle battaglie cosmogoniche dell'antica Babilonia).
La soluzione all'inquietudine dell'umanità è l'apertura di un nuovo orizzonte. Orizzonte fisico e orizzonte di senso. Nasce l'idea dell'impresa ciclopica che strappa lo spazio vitale alla natura impervia. L'uomo combatte contro l'inospitalità della Groenlandia. E lo fa rivoltando la terra contro la terra. Fuoco contro ghiaccio:
«Sulla Groenlandia gelata spargono il fuoco dei vulcani islandesi, ed effettivamente la terra cede. Ma chi è perduto interiormente vince solo all'apparenza. Insieme col fuoco hanno rapito dalle viscere della terra anche una ignota forza primigenia. Sorge in Groenlandia un'età della creta.»
La forza liberata innesta un processo che genera mostri. Come l'incontro tra fuoco e ghiaccio della mitologia norrena innesta il meccanismo che crea gli dei-simbolo delle forze brutali degli elementi (i giganti, appunto). E l'effetto che si ottiene è quello opposto: la natura colonizza la civiltà.
«I mostri più paurosi si rovesciano sugli agglomerati urbani. Per l'umanità della macchina non si tratta più della vittoria, ma dell'esistenza. Da prima le riesce di difendersi; poi le armi di difesa diventano strumenti di autodistruzione.»
Fino a che non si raggiunge il limite e l'uomo si dà una legge, ripristinando l'equilibrio. La prima parola d'ordine, quella dei conquistatori senza scrupoli, era: “la terra, la nostra terra”. L'ultima, quella con la quale si chiude l'”avventura tecnico-utopistica” immaginata da Döblin, è: “la Terra e la Legge”.
Giganti (1932) - Döblin Alfred (Mondadori)