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Prospettive

Prospettive
di Fabrizio Comerci

“Io fotografo una cosa per sapere a che assomiglia questa cosa quando è fotografata”
(Garry Winogrand)

“Non un'immagine giusta, ma giusto un'immagine”
(Jean-Luc Godard)
(18 giugno 2009) La soggettiva dell'obiettivo

Avete presente la celeberrima foto del gruppo di marines americani che issano la bandiera statunitense sulla vetta del monte Suribachi nell'isola Iwo Jima?
Bene, è un falso.
O meglio: è una composizione ad arte.


Ciò che vediamo non avrebbe mai avuto luogo se non ci fossero stati gli osservatori; coloro che si celano dietro l'obiettivo, l'occhio e il gusto del fotografo. Coloro che vogliono vedere la notizia realizzata e vogliono farsi testimoni di ciò che è successo.



E, tutto ciò, non è da intendersi in senso metafisico. Anzi, piuttosto nel senso della fisica di Heisenberg. Siamo di fronte a uno dei paradossi più significativi del fotogiornalismo. Immaginate ora un incontro diplomatico tra i leader di due fazioni in lotta. Si parla di un cessate-il-fuoco e si arriva a firmare un accordo. I leader, dopo aver deposto la penna si avvicinano e si stringono la mano, fronte ai fotografi e sorriso di circostanza.



Che cos'è quella stretta di mano se non un atteggiamento a uso e consumo degli obiettivi? I due leader mettendosi in posa (come tutti noi, mettendoci in posa), si trasformano nell'oggetto foto ancor prima del click. È la “morte piatta” di cui parla Barthes. E quel click richiama un suono sinistro (shot, schießen). I marines dell'isola di Iwo Jima hanno addirittura sperimentato la risurrezione di bronzo: prima la posa, poi la foto, poi la statua. Nella storia dell'informazione, la fotografia ha apportato un valore aggiunto inestimabile: quello dell'attestazione di verità. La peculiarità del fotografo, infatti, è la necessità di essere lì dove avviene il fatto e di rilevarlo così com'è. Ma, non si tratta solo di questo. La fotografia ha anche il potere di democratizzare la notizia.



Completa l'informazione, incidendo sulla sensazione dopo aver colpito l'intelletto. Perché, in fondo, ha un legame di parentela con la poesia. Il suo destino, invece, è res publica. Quando smette il ruolo d'informazione, diventa icona di un periodo storico e, con il passare del tempo, soggetto di arte pop. La fotografia può mettere in difficoltà un potente, poiché porta la massa a curiosare in quegli armadi pieni di scheletri e a esigere spiegazioni. Ma è la stessa fotografia che viene sfruttata dal potente per manipolare il consenso. Nello smaliziato e ipertecnologico XXI secolo, l'immagine ha perso gran parte della propria incisività.



A lungo andare l'osservatore ha imparato che non è vero tutto ciò che vede. Notiziabilità, post-produzione, spettacolarizzazione e info-tainment mediano l'accesso al lavoro del fotografo fornendo un prodotto confezionato per il consumo, lontano dalla immediatezza dell'osservato. “Le fotografie, che impacchettano il mondo, sembrano sollecitare l'impacchettamento” (S. Sontag).



Ma c'è qualcosa a monte: l'immagine impressa rimane una “sottile fetta di spazio, oltre che di tempo” (S. Sontag) catturata, spesso, a completa discrezione di chi dirige l'obiettivo. Nella scelta della composizione immortalata, c'è già un significato intrinseco datole da chi fa scattare l'otturatore.



Una “presenza demiurgica” (R. Barthes) in grado di creare mondi.



"Sono continuamente lacerato - disse William E. Smith - tra l'atteggiamento del giornalista coscienzioso, che riferisce i fatti, e quello dell'artista creatore, il quale sa che poesia e verità letterale stanno male insieme”.



Nei suoi anni d'oro, il fotogiornalismo cullò l'ambizione di fotografie tanto fedeli e significative da rendere superflui i testi scritti. Tale suonava, almeno in parte, anche il programma di Luce (Henry Luce n.d.a.) per «Life». In realtà «Life» non arrivò mai a capovolgere il tradizionale rapporto fra parole e immagini(…)” (A. Papuzzi)



Dunque l'immagine ha pur sempre la necessità di una parola di contestualizzazione, di una direzione di senso. Altrimenti, forse, andrebbe alla deriva nell'onda di significati multipli che si crea dall'incontro delle due soggettive: l'occhio del fotografo e l'interpretazione del fruitore.



E siamo a un secondo paradosso della fotografia giornalistica: “Essa autentica il reale attraverso la soggettività” (A. Papuzzi).



 






18 giugno 2009
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