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Facebook e Skype con Genet diventano degli spogliatoi

Facebook e Skype con Genet diventano degli spogliatoi
di Chiara Merlo

I giochi erotici rivelano un mondo innominabile che il linguaggio notturno degli amanti rende palese.
Un tale linguaggio non si scrive.
Lo si sussurra di notte in un orecchio, con voce arrochita.
All'alba, lo si dimentica.
(Jean Genet)
(28 settembre 2014) Evadere. Ritrovarsi nell’oltreuomo, superando l’isolamento e la forza repressiva con tutta la violenza possibile e contraria a quella autoimpostaci per omologazione. E così, per delirio, per manifesto, liberare l’urlo che Munch ha lasciato sul fondo di alcune liriche e tragiche fantasie masturbatorie. Sostenere come utopia l’estasi e il godimento nel momento ultimo della morte, per superiorità, rovesciandoli tutti gli ideali e i valori sociali fino a dentro costantemente acquisiti. Penetrati. Venire.

L’apologia della violenza in scena, con la colonna sonora di “Shindler’s list” per ogni atto d’amore torturato e ucciso. Soltanto per convenzione. Totalitarismi. Restare soli a masturbarsi. Ogni due che si aggrappano, altri tirano via fino a strappare e abbattere. Separarli con prepotenza, romperli con tutto il rumore che fa. Puntualmente a brandelli emozioni e sentimenti. Puntualmente prima trascinati e poi lasciati a terra i resti del nostro inutile dolore carcerato. I lager della memoria. Gli spogliatoi dove siamo stati costretti a crescere e a confonderci come tanti piccoli nessuno. A terra calzini bianchi, camicie bianche, calzoncini neri, matricole putrefatte appena iscritte a questa vita notturna.


L’omosessualità come condizione suprema dell’incontro negato, eppure cercato ovunque. L’amore fra simili che per gli altri è impossibile. Non siamo tutti uguali. Le parole di Jean Genet che diventano corpo, corpo solo e corpo collettivo, idea e principio per un flash mob psico-teatrale dove l’uso dei telefonini è obbligatorio. E per ognuno che digita amore, o dolore, molteplici follower ammalati, ammassati, guardoni, diventano persecuzione, processione di scatti, registrazioni. Visioni Sartriane. Un cuore di corpi pulsanti è in scena dove tutti addossati su quell’animale ferito riprendono la vita che muore con un clic scattato dall’alto. Di moda il piacere sadico e voyeurista: l’estetica dell’impossibilità che Genet rifiuta con tutto se stesso. Vivere è raccontare o raccontare è vivere?



In ogni caso resistere a ogni tentativo di cattura. Anche di fronte ad un selfie dovremmo essere in grado di liberarci. Farci restituire le nostre parti più intime. Ma possiamo farci restituire i ricordi?! I cazzi, i culi fotografati, feticci/trofei di un gioco al massacro video hard per amanti esecutori. Pezzi di noi come pezzi di tutti, in un collage maledetto di impressioni fuggitive che ci restituiscono soltanto l’idea di ciò che vorremmo essere. Imbrogli mediatici rassicuranti dell’apparenza. Poi il giudizio violento che passa attraverso un post.



E invece ogni amore è una scrittura irraccontabile e illeggibile se non ripercorrendone tutte le evoluzioni, specie quelle oniriche, e ogni volta attraverso quell’atto rivoluzionario che è l’atto sessuale, provocatorio e ribelle in sé, unico, invece trasformato in un cerimoniale.



Accostamento, eccitamento, impossessamento, lotta per la continuità/ripetizione, abbandono e allontanamento. Morte di un sogno. Di nuovo venire.



La felicità non esiste, è perché l’ho sognata!



Allora fare di ogni trasgressione un gesto poetico, e dei social network il luogo della contemplazione, dove esorcizzare la propria condizione di emarginato, di diverso, dove esaltare visioni, riflessi della realtà, invenzioni di verità non più proiettati nel segreto del nostro interiore, ma in un diario condiviso che diventa lo spazio pubblico di tutti gli stati d’animo collettivi. La piazza moderna dove però poi essere per questo anche impiccati.



Non più sussurrare perciò, ma rivendicare e a volte in maniera sguaiata quel nostro malinconico carosello. E gli altri ad assistere, assediare, costringere, perseguitare. Tutti addosso per quel pensiero/emozione che non abbiamo saputo trattenere. E tutti a scarnificare quelle fragili dolci parole per caso capitate nel mezzo di una chat, fosse un gioco finto erotico, vero di delusione.



Skype per guardarci e svestirci, facebook per scrivere di noi. Rendere in questo modo disponibile a tutti la nostra anima. È questo spazio nel vuoto il nostro nuovo spogliatoio dove farci divorare, di sguardi, di accuse, di giudizi insopportabili. E dove nuovamente rimanere soli, nudi in mezzo a tutti. E proprio in questo vuoto, nuovamente costretti, rinunceremo al nostro più intimo sogno e alla visione più dolce di noi e dell’amore. Abdicando a Tom Waits da Youtube in sottofondo.



Ricci e Forte ancora una volta riconoscono in questo loro spettacolo, “JG Matricule 192102” (che è anche il risultato di un laboratorio internazionale voluto da Franco Quadri negli anni '90, acutissimo critico teatrale del nostro tempo da qualche anno scomparso), la fragilità dell’amore quando sono gli altri a deciderne il verso.



Ripercorrendo Jean Genet istigano perciò alla ribellione e alla liberazione del proprio gesto e del proprio corpo, così come è e così come lo si sente, contro tutti, e che magari tutti giudicheranno violento. Ma la violenza è degli altri che da sempre si impongono per una versione condivisa (nell’accezione sminuente di “approvata” ) dell’esistere. Perciò, questa scrittura e questa interpretazione teatrale così liberatorie dell’atto d’amore riempiono il cuore di forza e di coraggio. Possiamo farcela anche noi contro i nichilisti e gli invidiosi (specie contro quelli che si nascondono fra gli amici di facebook), perché dobbiamo sapere che: “per ogni atto d’amore muore un nazista” (Guido Catalano).



Come sempre le scene sono movimento e gli attori/performer (reclutati in 5 paesi europei per il progetto “Ecole des Maîtres”) sono di una espressività che dà malessere. Davvero molto intensi, specie a farsi male com’è realmente fra gli uomini nelle relazioni.



Soltanto per una sera all’interno della manifestazione “Short Theatre”, per il progetto Ecole des Maîtres, visto al Teatro India di Roma, il 24 settembre, riaperto per l’occasione.


28 settembre 2014
Articolo di
nostoi
Rubrica:
Teatro


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maestri: Ricci/Forte; movement trainer: Marco Angelilli; diarista: Giuseppe Sartori; con gli allievi attori dell'Ecole des Maitres 2014: Diletta Acquaviva, Aurélia Bonta, Hayet Chouachi, Cédric Coomans, Capucine Ferry, Francisco Goulao, Piersten Lierom, Pierre Megos, Stefano Moretti, Ivan Ozegovic, Mauro Racanati, Jure Radnic, Nina Greta Salomé, Francesco Scolletta, Nera Stipicevic, Catia Terrinca, Catarina Vieira, Tiago Vieira, Mateo Videk 



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