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Lucilla Galeazzi e il valore contestativo della cultura popolare

Lucilla Galeazzi e il valore contestativo della cultura popolare
di Chiara Merlo

La sospensione del tempo, intesa come fine di ogni coercizione, è l'ideale della musica.

Theodor Adorno
(Il fido maestro sostituto, 1963)
(24 settembre 2013) Lucilla Galeazzi propone al pubblico romano (il 27 settembre alle 21.00), insieme al coro di LeVocidoro, presso il Centro di Cultura Ecologica (situato all’interno del suggestivo Parco di Aguzzano), a chiusura della stagione estiva della rassegna ad ingresso gratuito “Agora. Teatro e Musica alle Radici” sostenuta da Roma Capitale, le sue canzoni di repertorio di musica popolare italiana, all’interno di un progetto musicale davvero molto interessante: “Dall’Umbria per la Sabina a Roma”.

Abbiamo voluto chiedere a Lucilla, considerata tra le più grandi cantanti di musica popolare italiana ed europea, di che materiale sonoro-antropologico si tratta, e perché se n’è occupata insieme al sestetto Levocidoro con cui lavora ormai da tre anni (formato da Susanna Buffa, Chiara Casarico, Sara Marchesi, Marta Ricci, Susanna Ruffini, Nora Tigges); il tentativo è di capire quali canti, modi di dire, balli, musiche, stili di vita si siano scambiati le aree territoriali che lei frequenta.


- Nel percorso di cultura musicale e linguistica fra i territori umbri, della Sabina, arrivando fino a Roma, quali sono gli aspetti di contaminazione esplorati più interessanti e quali invece gli aspetti fortemente legati alla tradizione e all’identità che raccontano perciò di radici diverse?



«Terni è una città il cui dialetto è detto umbro-sabino. La continuità tra il territorio di Terni e la sabina è totale: la sabina romana è praticamente attaccata e la sabina reatina anche: ci sono scambi e contaminazioni di stili canori, di melodie di forme poetiche e musicali in modo particolare per forme di “discanti” profondamente arcaici e più vicini alla musica antica che a quella moderna!».



- Levocidoro rappresenta un progetto musicale nuovo su cui lavori ormai da tre anni e che vede la tua voce  affiancarsi alle voci di altre sei donne che insieme a te hanno studiato  e ricercato suoni e significati, qual è la peculiarità del materiale sonoro messo in campo e perché, dal punto di vista musicale, la scelta è di mettere insieme sette voci di donna?



«Perché le polifonie popolari sono nate legandosi ai lavori  collettivi della campagna e della fabbrica o ai riti laici come religiosi. É certo che le complesse polifonie a due voci si cantavano a voci miste, maschile e femminile, ma solisti, mentre gli altri canti venivano cantanti soprattutto da voci  dello stesso genere: o  femminili o maschili, poiché le polifonie  popolari " suonano" meglio se cantate su tonalità più consone ai diversi registri maschili o femminili. Il progetto  LEVOCIDORO nasce dall'incontro tra me e queste giovani cantanti venute a studiare con me la voce popolare e proseguito poi con la voglia di mettere insieme le voci che si erano così ben formate sui repertori solistici. Allora i canti si facevano tutte insieme, con qualche polifonia o anche completamente monodici, in ogni caso erano profondamente legati alla cultura materiale».



-  Che rapporto c’è tra musica popolare e impegno civile, oggi a differenza del passato?



«Il valore contestativo della cultura popolare è intrinseco ed implicito: è una  cultura  legata sia al lavoro dei  campi, sia a quello di fabbrica. I canti parlano delle ore dure di lavoro, dei licenziamenti, ma anche dell'allegria e della festa che nella cultura popolare ha sempre valenza rituale!  Mano a mano che i canti si avvicinano a Roma eccoli trasformarsi  in sfide tra i quartieri, in amori delusi e traditi fino al suicidio, ai canti "bulli"  con promesse e minacce di coltellate, canti dei carcerati...nella città il potere divide ed impera e quando non può più dominare, sbatte in galera»



 - Cosa può la cultura dei luoghi, la partecipazione e una nuova interiorizzazione del sapere comune a fronte dell’alienazione contemporanea, dell’emarginazione e dell’isolamento degli individui globalizzati?



«Il secolo XX è stato il secolo che ha visto nascere L'UOMO MASSA....si mangia tutti più o meno gli stessi prodotti, da est fino ad ovest,  si balla tutti insieme a migliaia, si fanno code chilometriche nelle strade, negli aeroporti, anche l'uomo diventa un prodotto di massa, un po' in serie. Uscire da questa omologazione non è facile, la musica e il teatro hanno la virtù di rimettere le cose e le persone  sui piedi di una cultura secolare, ancora oggi capace di parlare a noi uomini e donne del nostro tempo!!!»


24 settembre 2013
Articolo di
nostoi
Rubrica:
Musica


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