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La spirale della civiltà

La spirale della civiltà
di Carmelo Primiceri

Restiamo umani.
Vittorio Arrigoni.
(26 settembre 2012) In cosa consiste il rispetto? E quale impegno richiede il voler davvero rispettare un’idea, una persona, un luogo, una religione? Dove libertà e rispetto possono convivere e dove invece stridono lacerando gli animi? È sufficiente essere tolleranti? O dietro questa parola si cela, non riconosciuta, soltanto una forzata accettazione di qualcosa che "dovrebbe" essere diversa? E questo non comporta il rischio di snaturare l’identità propria delle cose per farle “aderire” all’idea più forte che si ha di loro? Un saggio potrebbe dire che laddove ognuno deciderà di porre il limite della propria libertà, lì avrà definito lo spartiacque tra tolleranza e rispetto.


Tollerando ci si illude di rispettare appieno la diversità, ma si resta prigionieri di un inganno, più o meno inconsapevole, in cui si pretende dall’altro un approccio alle cose, alla vita, che sia prossimo ad una linea di pensiero che dell’altro non è. Cosicché, per quanto le vedute possano essere ampie, necessariamente gli occhi sono solo quelli di chi guarda, e questa prospettiva “in soggettiva” non potrà mai essere “oggettivamente” compresa e condivisa se non in minima parte, tollerando appunto.



E allora la libertà? Che ruolo ha la libertà? È pensabile, è giusto limitare la propria libertà di espressione (come sono), di pensiero (come parlo), di culto (come vivo) perché consapevoli dell’intolleranza altrui? Questa domanda, se non inquadrata dalla cornice del rispetto, non ha senso porsela, perché non ha risposta: diventa solo il pretesto per prevaricare e offendere, in un modo o nell’altro. Da qui hanno origine quelle “spirali di odio” in cui tutti sono parte lesa e ognuno sente il diritto di difendersi.



L’impasse sta nel fatto che il concetto di rispetto non è, e non può essere, assoluto. Si potrebbe dire che il rispetto nasce e cresce tra le braccia di una cultura che poi lo nutre ed educa secondo i propri canoni, ed ha senso pieno solo là dove nasce perché lì è stato definito con un’unica particolare accezione. A loro volta, le culture nascono e si evolvono, in un luogo chiuso e nel tempo, col risultato che i gradi di complessità non possono che aumentare. Pensando a come sia difficile anche solo apprezzare la differenza tra tolleranza e rispetto nelle generazioni appartenenti alla stessa cultura, che speranze possono esserci di instillare il rispetto reciproco a generazioni diverse di culture diverse?



Prima o dopo, poi, ogni cultura esce dal luogo chiuso in cui è cresciuta e, confrontandosi, deve definire il proprio grado di civiltà, nell’accezione di uno sforzo teso alla ricerca di tutto quanto sia suscettibile di miglioramento. In estrema sintesi, quindi, si tratta anche di raggiungere quella maturità che consente il passaggio dalla tolleranza al rispetto altrui. Chi può decidere i tempi ed i modi con cui le diverse culture finalizzano questa ricerca? Nessuno, ovviamente, ma tra culture ci si può aiutare, evitando inutili provocazioni. Altrimenti la tanto vantata civiltà delle culture evolute si dimostrerà essere soltanto una chimera, figlia cieca e frettolosa del troppo progresso, mentre dovrebbe esserne il motore.


26 settembre 2012
Articolo di
carmelo
Rubrica:
Società


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