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Teatro India - Roma

Teatro India - Roma

(15 febbraio 2011) "L’amore di Fedra” in lingua serba
con la regia di Iva Milosevic

Ogni volta che il teatro d’oltralpe arriva in Italia, la meraviglia è di considerare che altrove la ricerca teatrale non si è fermata, e non corrisponde semplicemente a una formula vuota usata solo a pretesto per ottenere, forse, qualche misero contributo in denaro. E non deve essere neppure avveniristica per essere esaltante, possono bastare le posture.
E così neanche noi ci impoveriamo di idee registiche nuove, e interpretazioni decisamente più moderne, se in città arrivano compagnie da fuori confine così motivate, e guidate da interpreti e registi al tempo stesso così esaustivi e freschi.

Anche quando la necessità è quella di sovrapporsi a un testo così cupo e “sguaiato” (e insieme così tristemente corrispondente al nostro tempo, da fare dei suoi vuoti interiori il contenitore emblematico, come è questo di Sarah Kane), non è sembrato difficile rielaborare la noia pure in assenza di manipolazioni fredde e intellettualistiche.

Come si può rendere una masturbazione in scena allo stesso modo così profondamente sconvolgente e ironicamente provocatoria?
Facendo di quell’azione sorda una condizione così intima per ognuno e così devastante, ma anche così comica e sconcia da far ridere e inorridire…specie per chi volesse mettersi, fintamente assente, solo nella posizione dell’osservatore?

Se poi c’è un’attrice superba (com’è Mirjana Karanovic) a fare dell’amore assoluto (quello che annienta) il senso doloroso della vita (che esattamente dall’amore viene resa insignificante), e che aggiunge al ribrezzo del sudicio l’attrazione per la purezza di certi gesti liberi e totali come il suicidio, il sacrificio di sé, il cibarsi del proprio dolore e del proprio sesso con tale e tanta voracità fino a doverlo vomitare su tutto ciò che ci circonda, il resto è solo sgomento, ma per non aver capito fino a poco prima ciò che da subito doveva apparirci del tutto evidente: gli altri desiderano di noi quello che non siamo.

Gli attori sono rigidi sul palcoscenico, persone soprammobili da salotto in decadenza…poi cade la tenda e ci scopre più nudi, anche una parete si stacca da terra percossa rimanendo in bilico con tutto il suo peso. Lo spazio di un “confessionale” di vetro con webcam è il posto dove abbandonare il proprio edulcorato consueto tono di voce e assumere invece quello della propria incomprensibile sofferenza che va urlata. Volti espressionisti per smorfie eloquenti.

Là fuori…siamo come gli altri ci vogliono, un cumulo di carne al macello, sempre esposti alla vivisezione e all’interesse morboso, inquieto e inquietante, di voler fare di noi pezzettini insanguinati via via sempre più irriconoscibili.

La storia è di un re e della sua famiglia, e di un amore incestuoso fra il principe e la sua matrigna, di un popolo inebetito dai fanatismi religiosi e dalle sciocche dispute di potere. La storia è di una donna attratta dalla morte che perciò ha fatto del sesso solo un palliativo. Si lascia abusare con crudeltà, mentre chi abusa fa del suo modo un esempio “divino” di integrità e coerenza, a voler essere così onesto e spietato con se stesso da sembrare onnipotente. Regia pregiatissima, attori che aggiungono grazia ed equilibrio.

di Chiara Merlo

15 febbraio 2011
Articolo di
nostoi
Rubrica:
Teatro


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