London river. Tra la paura, la diffidenza e l'angoscia dettata dal tempo che trascorre, Elisabeth e Ousmane vogliono soltanto una cosa: ritrovare i propri figli scomparsi durante la tragedia. Scopriranno che i loro ragazzi non solo si conoscevano ma si amavano e vivevano insieme. Una realtà silenziosa eppure dolcissima, simbolo e bandiera di quella nuova società mista che tenta di superare le differenze culturali. Semplicemente, attraverso la vita. E l'amore. Nel suo svolgersi, la storia appare in certi versi scontata, con un prevedibile tragico epilogo. Ma quello che il regista, Rachid Boukareb vuole stigmatizzare in London River è l’universalità del comportamento umano. Una stupenda Brenda Blethyn che già in una sequenza memorabile di un suo primo piano in Segreti e Bugie era riuscita sintetizzare sul suo viso di madre un incredulo stupore misto ad un lacerante dolore, qui ci incanta nuovamente con il ruolo di madre sola, alla ricerca, non solo fisica, di sua figlia. Di contro, un meraviglioso e malinconico Sotigui Kouyaté, recentemente scomparso, premiato come migliore attore a Berlino 2009 per questa interpretazione straordinaria. Il suo un ruolo scomodo, quello di un di padreassente, anch’egli sulle tracce del figlio che ha abbandonato in tenera età. Un figlio lontano di cui non conosce neanche l’attuale fisionomia. L’incontro/scontro tra loro è il cuore del film che oltre a raccontare la tragedia della perdita, mette in luce pregiudizi, luoghi comuni, diffidenza, incredulità, paure talvolta inconfessabili, per arrivare a far capire allo spettatore che l’Occidente e l’Oriente possono convivere e fondersi attraverso le loro diversità senza la paura di perdere le proprie identità. Il tema della ricerca, non solo fisica del proprio figlio, porta i due genitori ad unire le loro esistenze, ad essere di volta in volta sostegno e conforto l'uno per l'altra. Entrambi soli nel cercare il nome del proprio figlio in accalcati elenchi ospedalieri, o in strazianti riconoscimenti di salme fino a giungere a quella verità, fin dall’inizio irrazionalmente allontanata dalla mente. Un percorso di maturazione di un dolore e del suo ultimo gesto, il più difficile per un genitore: seppellire la propria prole. Ma qui irrompe il terrorismo vero, forse perché si palesa la più crudele delle sue facce: non ci sono corpi da piangere, non ci sono riti funebri da poter adempiere, non ci sono mani da comporre e stringere una volta ancora. Il dolore della perdita si trasforma in autentica disperazione. Ecco che il più antico e solenne dei riti, eseguito pure nei confronti del nemico ucciso in battaglia, qui lascia spazio all'impossibilità e ad una crudeltà umana bieca ed assurda. Un dolore impossibile da elaborare. Entrambi capiranno che le loro distanze culturali sono inesistenti perché la loro rabbia ed il loro dolore diverranno strada comune. Una strada che percorrerranno per il resto dei loro giorni. Bellissimo il tema musicale che non a caso è affidato al sax, che rende tutto nello stesso tempo malinconico e brioso.