Il genere letterario fantascientifico post-apocalittico annovera opere che racchiudono un vasto spettro di possibilità interpretative. Ma, un tema si ripropone come fattore costitutivo: l'Uomo in pericolo d'estinzione. Che la minaccia sia scaturita dalla natura abusata, dal suo mero capriccio o che sia frutto di un suicidio della specie umana, l'angoscia che s'insinua è atavica ed è quella della scarsità delle risorse, della regressione allo stato brutale e anarchico, della perdita della memoria tecnologica.
È, infine, l'angoscia della solitudine senza speranza dell'ultimo uomo sulla Terra. 'La peste scarlatta' di Jack London (1912) segue d'istinto un genere letterario che, al tempo, ancora non aveva un nome. Tra i pochi predecessori, ritroviamo Mary Shelley con (appunto) 'L'ultimo uomo' (1826). Romanzo considerato il capostipite di un filone che tutt'oggi continua a produrre opere letterarie, cinematografiche, fumettistiche e video-ludiche che spesso s'intrecciano e si contaminano tra loro, come succede solo negli ambiti culturali che godono di ottima salute. Un filone che s'innesta nella sempre fortunata tematica escatologica, nutrendosi, di epoca in epoca, delle fobie attuali (tragedie di massa, guerre nucleari, incontrastabile rivolta della natura…).
In 'La peste scarlatta', London ipotizza la distruzione della comunità umana da parte di un'epidemia virale rapida e letale. In breve l'umanità si trova in un'emergenza di sopravvivenza che porta i pochi superstiti ai limiti della civiltà, in combattimenti spietati per benzina e cibo in scatola. Homo, homini lupus. Tematica che riecheggia, solo per citarne un paio, nel più recente 'La strada' di McCarthy (2007), nel ciclo cinematografico Mad Max di George Miller (Interceptor - 1979) e che viene esasperata in 'Io sono leggenda' di Richard Matheson (1954), in cui il sopravvissuto è assediato dal resto dell'umanità trasformata da un morbo in vampiri.
La memoria della fine, London l'affida al protagonista del romanzo, un vecchio professore del quale leggiamo gli ultimi concitati racconti di ciò che fu. Dopo aver assistito alla tragica decimazione dei propri simili, egli vaga a lungo credendo di essere rimasto l'ultimo esemplare della propria specie. Salvo, poi, venire in contatto con delle piccole comunità riorganizzate. Ma, la lingua dell'uomo di cultura suona come un buffo brusio farneticante, alle orecchie dell'uomo nuovo: i rozzi caprai che hanno il compito di rigenerare l'umanità, gli scampati di seconda generazione, sordi alle raccomandazioni del vecchio. Troppo occupati a difendersi con archi e frecce dalla natura selvaggia, impossessatasi nuovamente del proprio spazio. In loro, il vecchio vede la speranza di una rinascita che può cancellare tutti i vizi dell'umanità passata, ma ritrova anche i germi degli errori di sempre.
Nel breve saggio 'Davanti a una terra desolata' che chiude l'edizione Adelphi 2009 di 'La peste scarlatta', Ottavio Fatica fa una carrellata del genere post-apocalittico e racconta di un curioso episodio che ha colpito l'immaginazione di London e influenzato la stesura di questa sua opera.
Nel 1911, un indiano selvaggio appare in una cittadina della California, l'ultimo di una tribù che, fino ad allora, era vissuta nel più completo isolamento dal resto del mondo, ignorata dal resto del mondo. Lo chiamarono Ishi, 'Uomo' nella lingua Yahi. Assistette alla morte di tutti i componenti della sua comunità e vagò per mesi, forse credendo di essere l'ultimo uomo sulla Terra.
Un lungo elenco di opere di fantascienza post-apocalittica è pubblicato su Wikipedia. Elenco al quale ci sentiamo di aggiungere solo 'Il figlio degli uomini' di P.D.James (1992), da cui è tratto il film omonimo di Alfonso Cuarón (2006), anche se sarebbe da annoverare tra le opere 'apocalittiche' piuttosto che 'post'.
di Fabrizio Comerci