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Lo specchio del se'

Lo specchio del se'

(23 gennaio 2009) “ Ho immaginato il mio Amleto come se venisse recitato da me “
Oscaras Korsunovas

CHI SEI TU?
Incessantemente ripetuta su una striscia di pixel fra i tendoni rossi di velluto s' apre così, di doppi e riflessi, l' Hamlet di Oskaras Korsunovas.…

E' straniante la rivisitazione in chiave moderna dell'opera shakespeariana del talentuoso regista lituano appena quarantenne, già direttore del Teatro Indipendente di Vilnius, riconosciuto e stimato sulla scena internazionale. E' il Teatro Argentina di Roma ad ospitare questa piece che è uno specchiarsi reiterato e pregnante della coscienza. E' un percorso complesso, un'esperienza totalizzante perché è di tutti.
E coinvolge il tutto. Attore, personaggio e pubblico in sala.

La scena è perturbante: un palcoscenico nero con nove specchi da camerino posti l'uno accanto all'altro. Nove sedie. Fiori bianchi come argini. Cappotti neri appesi alle grucce.
In uno scalpitio rapido e inatteso, dal buio, gli attori guadagnano la scena. Un attacco improvviso alla soglia dormiente della coscienza. Una stretta. Un assedio.
A proscenio illuminato loro sono lì. Seduti, abiti neri, spalle al pubblico e visi nello specchio. Nello specchio i loro volti. E i volti del pubblico in sala.

CHI SEI TU? Sussurrato. In lituano. Dapprima è solo un alito allo specchio. Poi si fa crescendo di voci a diverso inizio che si sovrappongono fino a farsi rumore.
CHI SEI TU? Ora è grido convulso e fobico. Climax ascendente fino al punto di rottura.
Nel riflesso, il grido si fa d'improvviso silenzio. Assoluto.
CHI SEI TU? A questa domanda non vi sarà risposta. Questo Amleto non vi risponderà.

Si svolge tutta così, tra ombre e oggetti di scena pregnanti. Un cellulare. Una pioggia di fazzoletti rosso sangue, auspicio dell'umanità della colpa. La colpa reiterata dagli specchi disposti su linee parallele, o stretti in cerchi monolitici o solitari in un angolo. La lussuria della regina. L'avidità di Polonio. L'amore dissanguato e deluso di Ofelia. L'eccesso di Rosencrantz e Guildestern, vestiti da donna.
Davanti allo specchio è l'anima a farsi reale e dimostra la falsità di ciò che sembra ma non è, pur essendo corpo. Pur essendo materia. L'uomo e il suo riflesso. Scrittura e sovrascrittura. Paradosso realistico in cui è il riflesso ad essere il più reale.

Così ogni attimo è straniamento. E' durezza. Crudeltà spesso. Una lettura doppia che investe spettatore e attore e che nel suo doppio intreccia la storia, la recitazione e la realtà. E' metateatro.
Le luci al neon s'accendono e si spengono su cambi di scena modificati in brevissimi attimi di buio e lampi di luce bianca. Di sottofondo, il ronzante flash luminoso, ininterrotto, sincopato. Alternato allo squittio stridulo del bianco topo gigante che ripetutamente compare inquietante in scena con testa e coda dietro agli specchi mobili da camerino. Simbolica essenza della trappola che la coscienza tende al se'.
Da sartoria teatrale, a rimarcare la confusione delle letture, è la vestaglia blu indossata dalla nivea e sognante figura d'Ofelia, la splendida attrice Rasa Samuolyte.
E' teatrale l'asse da stiro di suo padre, Polonio, che stira per lei l'abito bianco da futura sposa che diverrà abito di morte sotto una cascata d'acqua e petali bianchi.
La follia e il doppio nel belletto messo e tolto dal viso del superbo Amleto, Darius Meskauskas.
Il vero alter ego di Korsunovas.
La ricerca dell' Elsinore come ricerca di se' stessi non è attesa. Non qui. Non ora.
Il dubbio amletico non si scioglie su questo palcoscenico. Passa per l'imitazione ma resta soltanto un altro specchiarsi. Tuttavia lascia aperti spiragli di luce sulla possibilità di trovare se' stessi dentro se' stessi.
Come una grande trappola per topi tesa a se' stessi. Realmente. Fuori dallo specchio.

di Veronica Turiello

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