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La criminologia tra l’opinione e la norma

La criminologia tra l’opinione e la norma

(01 novembre 2008) Se la criminalità è in rapporto alla società con la sua cultura (l’opinione pubblica e la legislazione, mutevoli), allora, per usare un’intuizione Tardiana, “la criminologia non è altro che il rinnovamento del diritto penale”, e dei suoi principi fondanti.
Ma ancora prima che quel processo di rinnovamento avvenga, un'ideologica alterazione (manipolazione) dell’opinione pubblica potrebbe spingere subdolamente verso un falso cambiamento, dicendo dettato dall' "emergenza" (solo scardinando maldestramente le norme), e facendolo per questo ritenere necessario (suggestionati dai mezzi di comunicazione spesso asserviti ad altri poteri).

E premendo sull'opinione pubblica, servendosene, si cambiano i presupposti del diritto, apparentemente non più adeguati.

E però nuove leggi non costituiscono necessariamente nuovi diritti, e neanche, improvvisamente, nuove società. Non risolvono solo per questo vecchi conflitti, mentre è più facile che ne slatentizzino pericolosamente degli altri.

In un sistema giuridico statico e sempre più complesso, sempre più distante dalla sua filosofica “funzione” sociale, la criminologia diventa un paravento, un riparo emotivo, una spiegazione sempre possibile al malvagio. Il meccanismo per far leva sul cambiamento delle norme…
E i criminologi…dei sapientoni, dei medium, i sensitivi dell’accadere criminale.

La causa di questa falsificazione è dettata da una escalation di “minacciate” emergenze mondiali, e paradossalmente locali, che preoccupano “ipnoticamente” le popolazioni più spaventate, quelle occidentali, che per ogni passo della loro esistenza “sentono” come “precarie” quelle loro condizioni, psicologiche, di benessere.

Rispetto a dinamiche allarmanti di risoluzione dei conflitti, con conseguenti e puntuali distorsioni legislative dei singoli paesi, con norme sempre più corrotte perché rovinate da troppi coinvolgimenti politici e umorali, perciò non più finalizzate all’obiettiva risoluzione delle “questioni” criminali, soltanto il ricercatore “professionale”, che sviluppi “scientifici” e sfaccettati metodi di analisi e valutazione, può restituire perizia e buon senso.

La preparazione interdisciplinare (e non politicizzata) di ogni ricercatore nel settore è una ricchezza e non un ostacolo, e perciò presupposto iniziale per l’evoluzione di questa disciplina che deve dimostrarsi sempre attenta, e mai pregiudizievole, rispetto alle nuove forme di valutazione culturale, e soprattutto sempre più accorta ai nuovi meccanismi di formazione dell’opinione pubblica, e perciò di formazione della norma.

Necessario allo scopo un sistema di regole deontologiche cui riferirsi per intercedere fra l’una e l’altra, senza così diventare il detentore assoluto del sapere, tradotto come “interpretazione” della specie umana (sia antropologica, che psicologica, sociologica o altro…), non perciò un contenitore presto riempito di deterministiche, ma peggio, approssimative e posticce nozioni mai verificate.

Fondare così un’etica di lavoro cui attenersi e da tramandare come strumento primario e fondamentale per avviarsi nella direzione opposta alla “degenerazione” culturale.

Ciò che diventa necessario allora è che questi studiosi della criminalità, a prescindere dalla loro formazione, abbiano la possibilità di confrontarsi all'interno di un Albo (che non esiste!) e che invece sarebbe non solo opportuno, ma prezioso, e affinché i "criminologi" (comunicatori) della televisione non alterino, non droghino, pericolosamente, gli umori della gente (l'opinione pubblica) con valutazioni, date da esperti, ma a dir poco disoneste intellettualmente, se non criminali nell'intenzione.

di Chiara Merlo

01 novembre 2008
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