Dicevo, un ambo. Le due signore del teatro sono di quelle attrici che ti viene voglia di abbracciare, di correre in camerino e ringraziarle di esistere.
Di assicurarti che siano loro, Annamaria e Giulia e non Martha e Abby, che non vedono l‘ora di offrire anche a noi una tazza di tè o un bicchierino di rosolio, fatto con le loro prodigiose manine.
E forse si dice sempre così di fronte a due fuoriclasse, ma sembra che queste figure attendessero loro per tornare a vivere e a palpitare.
Sono due involucri, Martah e Abby, e come tutti gli involucri chiedono di esser riempiti, un alito di vita e via, si comincia. Vere e sincere al di là della storia, che non si preoccupa più di essere vera.
Così queste due simpatiche ziette piene di amore e misericordia per gli uomini soli, meglio se vedovi, da liberare una volta per tutte, per il loro bene, per carità, aprono le danze di una commedia dove si ride moltissimo.
La premurosa Abby di Giulia Lazzarini, che sa di pasticcini intinti nel tè, passa tutta attraverso i suoi gesti perfetti, piccoli, allusi, lasciati in sospeso, evanescenti come la voce che si fa bisbiglio, eco friabile di un soliloquio interiore; la bizzarra Martha di Annamaria Guarnieri, più cupa alla vista e più temibile, teme a sua volta i film dell’orrore che le provocano gli incubi.
Ritmo incalzante ben assecondato da musiche e suoni, battute esilaranti, ironiche, paradossali, intrighi e colpi di scena accuratamente gestiti, cioè preservando l’effetto sorpresa, la commedia si consuma in un soggiorno austero in stile vittoriano -a pensare alla nostra letteratura, ricorda le ambientazioni gozzaniane delle buone cose di pessimo gusto-, accogliente come una tavola apparecchiata, inquietante come un coltellaccio per affettare l’arrosto o una cassapanca da presidiare sempre, soprattutto in presenza di terzi.
Tipo i carabinieri che occupano le ore aggiustando giocattoli per i bambini poveri; tipo Mortimer il nipote (Paolo Romano) che fa finta di campare facendo il critico teatrale e che scoprirà il cadavere sigillando la scena con tanto di pantomima e urlo muto; tipo la sua sposa promessa (Maria Alberta Navello) che non si capacita dei suoi repentini cambi di rotta; tipo il reverendo un po’ indolente, assiduo della casa (Bruno Crucitti); tipo l’ennesima vittima predestinata signor Johnson (Francesco Guzzo, anche tenente Rooney).
A parte Teddy, l’altro nipote, un bambinone mitomane che si crede il Presidente Roosvelt o il General Lee (Mimmo Mignemi) che con le zie condivide non solo la casa ma il progetto. E’ lui il becchino della situazione, ogni volta pronto a suonare la carica e a scavare la fossa nel sottoscala.
Quanti sono i cadaveri fino a questo momento? Undici o dodici fammi pensare. La prova è la collezione dei relativi cappelli chiusa dentro l’armadio.
Ma il primato se lo contendono con l’altro nipote, Jonathan, un feroce assassino sparito molti anni prima che irrompe una notte, irriconoscibile, con le sembianze di Frankenstein. Alterato nei gesti e nel volto da una serie di interventi di chirurgia plastica garantiti dal dottor Einstein sempre al seguito ((Tarcisio Branca).
Molto bravo nel ruolo Luigi Tabita, adeguatamente macabro e sovratono.
Grottesco lui, soavemente mortifere le due signore zie. E immensamente vitali.
In scena anche Daniele Biagini e Lorenzo Venturini.
Scene, Franco Velchi
Costumi, Chiara Donato
Luci, Luigi Ascione
Musiche, Matteo D’Amico
Lo spettacolo, che ha debuttato al Teatro Mercadante per il Napoli Teatro Festival, è in scena al Teatro Quirino Vittorio Gassman fino a domenica 19, poi in tournée.
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