Il giovanissimo Xavier Dolan, regista prodigio della scena canadese, regala grandi spunti di riflessione sulla relazione madre-figlio senza mai cadere nell’ovvietà. Nelle due ore di durata si assiste a un rapporto frustrato di amore di un figlio verso la propria madre, un tormento che va oltre il complesso edipico e sfocia nel patologico, e così la gelosia forte del figlio quando intuisce che la madre viene corteggiata da un vicino di casa, gli atti violenti, l’ira verso questa madre-feticcio.
È un susseguirsi di sproloqui e parolacce di questo adolescente che ama solo sua madre e di questa madre che prova a rimediare una vita normale per se stessa e per il suo figlio malato. Diane, è una donna esuberante, civettuola, che non si arrende dopo il licenziamento e accetta qualsiasi lavoretto ma non fa pesare al figlio la loro condizione di semi povertà e si rivolge a lui con lo stesso suo linguaggio violento, in un primo momento potrebbe dar fastidio sentirla parlare così, invece poi ci si accorge che vuole usare lo stesso linguaggio del figlio perché vuole considerarlo normale, se lo contrasta per rimproverarlo rischia di essere picchiata o addirittura strozzata perché il figlio non sa contenere il suo eccesso di violenza ma non si piange addosso e come molte madri sogna per lui un divenire diverso, magari un diploma, visto che non riesce a finire l’anno scolastico in corso e deve prendere ripetizioni e forse anche un matrimonio con una giovane della zona.
Steve è un adolescente che sembrerebbe superficiale e scorbutico, ascolta rap, ha perso il papà da bambino, non ha fratelli o sorelle e la madre è l’unica figura verso la quale si sente attratto quando non è accecato dai momenti di rabbia e di violenza, per lui è un faro, un modo per dimenticare il buio della violenza che lo acceca. In una scena, da applausi a scena aperta per la regia, Steve sta sentendo a tutto volume Wonderwall degli Oasis, mentre sta andando sullo skate, la musica nel suo essere fluida pervade il suo essere e in un motto di desiderio grazie a quella musica che gli dà sollievo Steve inizia ad aprire l’aria muovendo le mani da una parte e dall’altra, come per spalancare un muro invisibile che lo opprime e lui aprendolo si fa spazio per passare e il campo visivo si allarga; la musica come veicolo di libertà.
C’è un momento di tregua rispetto ai moti burrascosi del film ed è quando la madre e il figlio iniziano a frequentare una vicina balbuziente che diventa loro amica, aiuta Steve a studiare ed è un contatto con il mondo esterno che li ignora.
Ma come accade per le patologie psichiatriche che si celano in alcuni momenti ma si riaffacciano comunque, Steve tenta il suicidio mentre è in un supermercato con le due donne. La madre si vede persa, le è appena arrivato un ordine legale di risarcimento danni per un incendio appiccato dal figlio nel centro dove si trovava in precedenza e provando a camuffare l’accompagnamento in un nuovo centro di riabilitazione psichiatrica con una gita fuoriporta assiste alle urla strazianti del figlio che la insulta mentre viene afferrato dai portantini, un atto di tradimento che sente di subire dalla madre.
La migliore risposta che trova Steve, alla fine del film, è la fuga mortale correndo verso la vetrata del piano alto della clinica, ma è una scena distensiva, girata al rallentatore e mentre il ragazzo inizia a correre gli si spalanca un sorriso complice ed irrompe una musica sensuale. Nuovamente il bisogno di libertà che se in precedenza era coadiuvato dalla presenza della madre ora viene cercato ancora e comunque correndo e rompendo la chiusura. O più semplicemente, non può resistere all’assenza prolungata della madre desiderata con morbosità.
Mommy è il titolo del film ed è il nome scritto sulla catenina d’oro che Steve regala alla mamma per il suo compleanno; nonostante la mamma sospetti che lui l’abbia rubata al centro commerciale, non importa per lui, quel che conta è compiacerla e farle questo regalo.
Davvero inusuale, per uno spettatore, assistere a una forma di affetto incondizionato ed estremo tra un figlio e una madre ma il regista non cade mai nella banalità di questo tipo di rapporto, non è retorico e non si compiace nelle scene più delicate di sofferenza.
Il film fu acclamato al festival di Cannes del 2014 vincendo il premio della Giuria e se ne consiglia l’immediata visione!