Non sono morte! E chi non muore vuole fare sesso. Anche le donne, si. Anche quelle che ormai sono brutte. Quelle consumate e slargate, senza denti e i capelli inesistenti, inzippati tutti, quei pochi, cotonosi, nelle cuffie. Anzi, non si muore finché lo si desidera. Ancora meglio se si desidera l'amore, aggiungo io. Perché desiderio d'amore vedo in Rosina e Carolina, oramai sul ciglio del divenire. E siccome la morte non arriva a spezzare per sempre quell'ardore, una facile fiammella quasi spenta, loro spasimano ancora, e, in questo modo, si inventano altri sogni, instancabili.
Una novantaquattrenne e una novantaseienne. Due sorelle. Zitelle. Nessuno le ha amate. Un castello in mezzo alla stanza. Piccolo, piccolo, piccolo. Azzurro. Un re che bussa alla porta in ritardo, virile, assoluto...ne vuole una, l'ha sentita cantare! Quella voce lo ha turbato, la vuole in moglie.
(E d'un tratto penso alle chat del mio tempo e a quando arriva il momento di fare sentire la propria voce, col microfono, a quello sconosciuto che brama, inconsapevole dei tuoi difetti, di fare sesso con te, di fare sesso orale, virtuale, con sé...e quando sente la tua voce, più che se vedesse un'immagine, una parte nuda, gli sembra già, come di avere uno spasmo! Non so perché, o forse lo so perché, ma a vedere questo pezzo teatrale, che sembra parlare di antico, io ho pensato alle nuove tecnologie e al sesso digitale e scritto. All'immaginazione che sostituisce tutto, perché non siamo più capaci della realtà, che ci rifiuta, ci offende, ci ferisce, e perciò ce ne inventiamo un'altra a parte. Ma non gli scrittori, i poeti, i maniacali. Tutti! E le chat diventano favole per il nostro tempo, per i nostri anni perduti, per le nostre sconfitte e frustrazioni indicibili). Una volta invece erano "i cunti" a farci immaginare posizioni.
Questa storia è tragica. una favola nera che ci appartiene, dove appunto l'immaginazione diventa più brutta di qualsiasi vicenda realistica che possa capitarci! E basta un dubbio, una maschera, un sospetto...
Il mignolino della mano delle due vecchie deve diventare liscio per imbrogliare, perciò se lo succhiano, liscio come quello di una giovanissima che sia ancora vergine (anche se Rosina e Carolina sono ancora vergini!), così lo mostreranno attraverso la porta, e il re potrà sceglierlo per sé, e con quel ditino, scegliere tutta la persona e il suo stato. Eh! Magari! Il re lo sceglie, impazzisce per quel mignolino. E così Rosina impazzisce anche lei, si fa addirittura pronta ad andare al castello, nascosta in una pelle a mo' di manto pur di farsi amare dal re. E tutta la notte il re si diverte inconsapevole. Si diverte di se stesso, del suo stesso desiderio smargiasso. Ma poi al mattino scopre di avere fatto l'amore con una vecchia, una vecchissima! E prova disgusto. La butta giù dalla finestra e lei rimane appesa in fin di vita su un albero. Passa una fata e la trasforma in bellissima. Bellissima diventerà la sposa scelta dal re. (Che coglione!)
Ma non è andata così. Rosina, stanca di aspettare la morte, a furia di sperare, chiede a Carolina di essere scorticata. Di avere tolta la pelle, che ormai così slabbra di anni brutti, non contiene più l'amore, i desideri, le speranze. Chissà, forse così potrà spuntarne un'altra?! E la scena finale è questa, sanguinolenta, con un coltello che incide.
A interpretare, invece di due donne, due uomini (come nel 700). Eccellenti. Un lavoro perfetto quello di Salvatore D’Onofrio e Carmine Maringola. Faticosissimo. Pregiatissimo. Da subito. E bellissima è la regia di Emma Dante, si, bellissima, è il superlativo (banale, spontaneo) che voglio usare. Intelligente come sempre, curata, esemplare, emotiva e lucida allo stesso tempo. Lucida nella costruzione, emotiva nell'invenzione. Queste due donne si tengono, si muovono come in una giostra di bambine, si vestono e si svestono come bambole, e poi urlano e straziano come "vajasse". Il napoletano è il sangue di questi dialoghi interiori, con la musica e i movimenti totali che fanno da drastico contesto. Ogni parola è un mondo di riferimenti e stati d'animo e ogni gesto una danza, a volte tribale, a volte di cigni che si agitano inquieti nei nostri occhi. Che miscuglio di cose! Che geniale sovrapposizione dell'immaginazione alla realtà.
"Lo cunto de li cunti overo lo trattenimiento de peccerille" di Giambattista Basile, noto anche col titolo di “Pentamerone” (cinque giornate), è una raccolta di cinquanta fiabe raccontate in cinque giornate, che prendono spunto dalle fiabe popolari. Nella "scortecata", in questo dramma dove in particolare viene trattato il simbolo della bellezza in tarda età, la complessa scrittura e il linguaggio teatrale dell'opera barocca trattano il corpo come un oggetto contemporaneo a cui Emma Dante si ispira per dimostrare gli incastri relazionali dei nostri giorni. Assolutamente di pregio per ogni strato di approfondimento tentato.
Visto al Teatro India di Roma