Ma il desiderio è proprio quello che manca, e perciò un dio verrà a ricordarcelo, mischiando per questa ragione: morte a disinganno, grappoli d'uva a sangue, volontà di esistere e piacere della carne. Il piacere della carne come il piacere di ritornare a essere naturali, non certo l'immaginifico pornografico contemporaneo che ha distrutto ogni sensualità solo per la ripetizione orgiastica (non certo dionisiaca) di modelli culturali conformistici e di consumo.
Perciò i rimandi sono tantissimi, tra videoinstallazioni, musiche dirompenti, e allestimento scenico tribale. E poi c'è questo dio che appare fin da subito con il suo prologo, e che, con quel suo cappottone lungo da supereroe noir dei fumetti o dei film di animazione, ci lancia in faccia il suo anatema con tutta la forza che trova in corpo. Negli occhi. Nelle mani. Che gusto deve avere avuto il regista, protagonista, a uscire fuori da quei finti eroi per urlarci contro questo suo amore per la scena, martoriata, usurpata, dissacrata, che nel corpo di Penteo sparpagliato avrà la meglio. Penteo verrà dilaniato, come sarà per tutti quelli che uccidono il teatro pur di avere successo. Pur di indossare un costume blasfemo. Una maschera compiaciuta.
Non vi starò certo a raccontare la trama, ma leggetevela quella come fosse stavolta una metafora diversa, nuova, che attraverso la rabbia di questa compagnia squarcia la nostra abiezione, assuefazione. Due messaggeri c'hanno provato: riconoscete il valore del sacro su questa terra (del Teatro), altrimenti ciò che è sacro, e vergine, vi divorerà con accanimento fin da dentro, spargendo come resti tutti i vostri tentativi d'esserci (stati) solo a scapito degli altri.
L'ho trovato un allestimento puro, con una grande sinergia fra gli attori, tutti bravissimi. E le baccanti, come danzatrici africane su una passerella del postmoderno, erano il senso ultimo di quello che mi è arrivato. Saranno le donne, sempre loro, antiche, moderne, invasate, spregiudicate, a divorare e a uccidere, finanche i loro figli, pur di rigenerare vita nuova, latte nuovo. Dolore straziante che le possiede completamente nel corpo, con una estrema follia, ma che diventerà fonte di rinascita per tutti noi uomini sperduti.
Agave (la madre assassina di Penteo) è il simbolo di questo atroce cambiamento nel proprio ventre: ospitare nuovamente la testa mozzata del proprio figlio per farla rinascere a nuova vita. Commovente urlo tormentato di un'attrice che sa farne un uso antico sulla scena. Sembra che quell'urlo venga fuori dall'inizio di ogni vita. Eccezionale Manuela Kustermann. Ma molto bravi davvero tutti. E la regia è d'impatto, specie nei quadri con le Baccanti.
Nella musica poi c'è una ricerca specifica di Marco Podda, che attraverso l'uso della sperimentazione psicoacustica tenta un modo non convenzionale di linguaggio sonoro applicato a questa scena ancestrale, con effetti del tutto significativi di irrequietezza morale.
Visto al Teatro Vascello di Roma
regia Daniele Salvo
Dioniso Daniele Salvo, Agave Manuela Kustermann, Cadmo Paolo Bessegato, Tiresia Paolo Lorimer, Penteo Ivan Alovisio, Una guardia / Primo Messaggero Simone Ciampi, Secondo Messaggero Melania Giglio
Le Baccanti (o.a.) Elena Aimone, Giulia Galiani, Annamaria Ghirardelli, Melania Giglio, Elena Polic Greco, Francesca Mària, Silvia Pietta, Alessandra Salamida
scene Michele Ciacciofera, costumi e maschere Daniele Gelsi, Musiche Marco Podda – Light designer Valerio Geroldi, Riproduzione anatomica Crea Fx, effetti speciali di trucco videoproiezioni Aqua-micans group, assistente alla regia Alessandro Gorgoni