E si sente “responsabile della bellezza del mondo”, vuole che “gli uomini non siano deturpati dalla miseria” ma nemmeno dalla “ricchezza troppo volgare”.
Lui ha “cercato la libertà” e l'ha cercata “più del potere” e sa che “la calunnia uccide più del pugnale”.
È saggio Adriano, almeno quando si “rallegra perché il male gli ha lasciato la lucidità fino all'ultimo”.
E sennò come farebbe, a sipario calato, a ricordare a una platea in standing ovation che “il teatro si sente e si guarda, non importa intelligere perché il teatro non è filosofia, il teatro è poesia e la poesia è misteriosa come tutte le cose che sgorgano naturali dal cuore dell'uomo”?
Come farebbe a riflettere sul nostro “tempo terribile”, sullo “scontro di culture che ha scatenato la barbarie”, sulla violenza che nasce quando qualcuno dice 'il mio Dio è più Dio del tuo', sulle “armi che non risolvono niente, ma servono solo a chi le produce”?
“Noi invece dobbiamo pensare a salvarci e la salvezza siete voi, il teatro, la poesia”.
Sul palco del Teatro Ghione di Roma, dove ormai è di casa, Giorgio Albertazzi ha voluto anche Maurizio Scaparro, che alcuni lustri fa partorì un'idea imperitura, dalla storia lunga mille repliche.
Le memorie di Adriano, dal romanzo di Marguerite Yourcenar, sarà in scena fino al 14 febbraio prossimo e accanto a Giorgio-Adriano ci sono la fedelissima Evelina Meghnagi (canti), Stefania Masala (Plotina), Giovanna Cappuccio, Fulvio Barigelli e Armando Sciommeri alle percussioni.
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