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“Il coraggio di Adele” scritto e diretto da Giampiero Rappa

“Il coraggio di Adele” scritto e diretto da Giampiero Rappa
di Chiara Merlo

Il coraggio non è l’assenza di paura, ma piuttosto il giudizio che c’è qualcos’altro più importante
della paura

Ambrose Redmoon

Mai, non saprete mai come m'illumina
L'ombra che mi si pone a lato, timida,
Quando non spero più

Giuseppe Ungaretti
(22 settembre 2015) La scena è buia e silenziosa. Di colpo dei bombardamenti. Un uomo e una donna si ritrovano soli in una stanza abbattuta. In ogni relazione crolli e macerie, e due sconosciuti dopo urla e bestemmie. Bombardamenti e silenzio, uno spazio vuoto fatto di durevoli recriminazioni.

Non ci si ascolta più. Ci si offende, ma poi si fa l’amore, perché fuori c’è il mondo con le sue pene, e in due si sta in mezzo, al riparo, tra il me devastato e te, che mi sembri una via a quel rifugio.

Proprio in mezzo, tra la propria esistenza ferita che vortica al centro e il mondo, con i suoi andamenti centrifughi nell’altra direzione, soggetti dispersi. Forse che l’altro debba essere soltanto una propria ricercata vertigine. Ma in questa storia, oltre la rabbia, in evidenza c’è il coraggio. Il coraggio di uno sconvolgimento, di uno smarrimento, di un’ebbrezza, quello tutto femminile di buttarsi dentro, così attirare ogni emozione, attaccarsi agli eventi, costruire paesaggi, curare il dolore. Ché forse ogni donna viene vista così? Ventre dentro il quale depositare umori e sconfitte, per riavere tenerezza e speranza?!

Se non altro da quel ventre nasce la vita, si tira fuori il meglio, si cambia la dimensione: si diventa almeno in tre. Il coraggio allora è continuare, comunque, dovunque, anche quando poi si resta soli per quell’ultimo crollo imprevisto.


La scrittura di questo testo mette in risalto il tentativo di una riconciliazione impossibile, uno schema troppe volte ripetuto che ha annullato ogni variazione di relazione uomo-donna.



E sembrerebbe voler suggerire che è la donna il differenziale di una coppia, lei che decide il futuro di un amore, per come comincia e per come deve finire. La regia usa una pedana di legno, le fondamenta di una casa distrutta, l’immagine di un letto che occupa tutto lo spazio.



E le luci sono tutto: a strati, sensuali, colpevoli, dell’ombra, o i riflettori accesi, accecanti, dopo ogni devastante demolizione. I dialoghi attualissimi, specie nei toni e nei gesti, con le stesse parolacce-idiomi diffusi. Alla fine i due si lasciano, si tolgono gli stracci di dosso, i brandelli oramai interiorizzati, e scendono da quel ring fatto di legno. Lei di bianco con le perle, lui ripulito e fresco. Una carrozzina con una bimba li divide, e un girasole, all’apparenza finto, abbandonato sul tavolino di un bar. 



La regia non ha sublimato al meglio la veridicità delle azioni, né ha saputo dosare come al solito ironia e drammaticità (equilibrio di cui più volte Rappa si è già pregiato).


 


fino al 18 settembre al Teatro Franco Parenti

22 settembre 2015
Articolo di
nostoi
Rubrica:
Teatro


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