"L'educazione ricevuta è stata: avere, possedere, distruggere".
Il nostro tempo. Divorare persone. Usarle, violentarle, buttarle via. Paradossalmente: l'inutilitarismo come conseguenza dell'utilitarismo. Tutto diventa dis-funzionale, de-strutturante, al de-grado. Polarizzazioni e magnetiche concentrazioni di malaffare e sfruttamento. Tutto è potere: ma il potere di annullare l'altro oltre il servircene. Tutti come cose: donne come cose, bambini come cose, lavoratori come cose, animali come cose. Ma semplicemente perché li butto via. Il costo dell'espressione umana per una comunicazione vincente di sé che risolva ogni sentimento ricevuto in pratica pornografica. La libertà di essere se stessi misurata dal consumo che riesco a farne. Quante ne ho avute persone sotto? Tanto sono imponente, dominante. Maschio. Fino a esser l'unico e il solo distruttore di tutto quello che c'ho intorno: la mia vita.
Così "questa cupa ostinazione alla violenza totale non lascia più vedere «di che segno sei»".
Come ti racconti. Quale è la narrazione che fai delle tue interiorizzazioni. Sei disposto a morire per essere te stesso? A morire ogni giorno, dico. A essere offeso, mutilato, abbandonato ai margini. Sei disposto a metterti tutti contro? Mentre gli altri annusano le tue ferite e sanno bene come possono distruggerti. Aumenta l'indice potenziale della vulnerabilità. Saremo tutti più esposti alla violenza se la pratichiamo. Sarà l'unica modalità per esserci. Quella del più forte. Totale se si allarga negli sguardi, con i gesti, dentro le parole.
Le parole come strumenti per un'ideologia di massa. "Voi siete con la scuola, la televisione, la pacatezza dei vostri giornali, voi siete i grandi conservatori di questo ordine orrendo basato sull'idea di possedere e sull'idea di distruggere. Beati voi che siete tutti contenti quando potete mettere su un delitto la sua bella etichetta. A me questa sembra un'altra delle tante operazioni della cultura di massa. Non potendo impedire che accadano certe cose, si trova pace fabbricando scaffali". L'apologia dell'istruttoria. Processi linguistici che declinano simbologie in slogan per tutti. Detto fatto, forum, il verdetto finale, quarto grado.
Ed è per questo che "Siamo tutti in pericolo". Non è più solo un avvertimento. Pasolini è già stato ucciso, più volte, mentre ancora "io ascolto i politici con le loro formulette, tutti i politici e divento pazzo".
Lo spettacolo messo in scena dal regista Daniele Salvo con i due bravissimi attori, Gianluigi Fogacci e Raffaele Latagliata, rispettivamente nel ruolo di Pasolini e Colombo, riporta alla memoria di tutti quell'ultima intervista fatta da Furio Colombo proprio il giorno prima che Pasolini morisse, e dove egli più volte insiste: "lo sanno tutti che io le mie esperienze le pago di persona".
E sono le parole scelte a farne il valore. Le Lettere Luterane, gli ultimi articoli per Il Mondo e Il Corriere della Sera del 1975, e poi la lettura di quel documento estremo e profetico, quella confessione più che un'intervista, con sullo sfondo alcune installazioni video che rappresentano i momenti storici e politici più significativi del disfacimento istituzionale. Le stragi, il cinico "pragmatismo" della DC, le lotte politiche di facciata, l'assassinio e i funerali del poeta. I presenti.
L'ambientazione scenica è di colore carta da zucchero. A perimetro dello spazio usato: un misero letto, una scrivania messa di lato e delle sedie bianche. Un giovane ragazzo nudo e riccio (Michele Costabile) si muove leggero fra i sogni, mentre il protagonista usa la sua macchina da scrivere come strumento di drammatica espiazione. L'interpretazione è eccellente, nel rispetto di quello che è scritto soltanto come epitaffio.
Visto al Teatro Vascello di Roma il 13 marzo.