C'è un uomo, forse è un uomo, che è vestito come una donna (forse allora è una donna), che ha delle gambe storte e magrissime, spente! Poi dei calzini e delle scarpe maschili. Sopra quel vestitino blu, una testa che per me è gigante, rasata da lager, e due occhi azzurri azzurri infuocati di rosso. Eppure questa persona che ho davanti, paradossalmente per me, ma forse non solo per me, è come non ci fosse. Si è persa forse, ma chissà dove, e io ne scorgo furiosamente solo lo spettro. Balla e tiene il tempo con una gamba nervosa che è più irrequieta dell'altra, batte forte anche le mani, e aumenta il ritmo, continua a girare su se stessa senza pace, come una mosca. Vortica fastidiosa e insistente e a tratti si ferma e forse muore, ma poi ricomincia.
C'ha tanti di quegli amici invisibili che in quella stanza pare che non ci entrino, alcuni di sicuro si nascondono, altri si muovono rasente e circospetti lungo le pareti; donne amate, o forse uomini, scappano intorno al tavolo senza farsi mai raggiungere, e poi una madre insolente che proprio non vuole riconoscerli tutti quei figli che si accovacciano sotto l'alea invisibile di quell'uno apparente. O forse è lei stessa che se li è immaginati tutti, e ogni volta disperatamente così doppi. Forse non li lascia vivere, ma poi se ne pente. Frasi pronunciate senza senso, che poi a vedere bene un senso di sicuro ce l'hanno, mentre spasimano nella memoria!
Questo testo è denso e cupo, ma raccontato anche con ironia e leggerezza. Parla di una follia che è già stata, ma è come se stesse di nuovo accedendo, e a causa di qualcosa che non sappiamo ma immaginiamo. Parla di fragilità e marginalità, di come hai passato alcuni giorni della tua vita proprio sull'orlo del crollo emotivo e poi nel pozzo nero del furore, del tormento e delle allucinazioni, con quei mille frantumi di te che continuano a vorticare e che non riesci più a stringerti dentro. Vagano, ti circondano, ti deridono, annientano ogni possibilità di desiderio e di equilibrio. E non servono farmaci, non basta la luna, il respiro è sempre affannato, scoraggiato, inadeguato.
La regia è particolare, nel senso che bene isola tutti questi ricordi, tutte quelle frasi sconnesse e i movimenti mimetici del corpo e del volto in un ambiente ovattato e irreale, con l'aiuto della musica dirompente e di luci sapienti, ma è l'interpretazione e l'uso esasperato di ogni espressione facciale e di ogni gesto, e insieme di ogni parte del corpo, che rendono questo pezzo davvero drammaticamente così verosimile e commovente.
Leonardo Capuano ha un uso gentile che in ogni caso spicca in mezzo a quella follia, con quella mano che ogni tanto solleva come per chiedere aiuto, e la bocca sempre compressa in una smorfia di sofferenza ingoiata. Gli occhi certo sono la cosa con cui spiega meglio delicatezza e violenza. E quando alla fine in mezzo ad applausi riconoscenti ci sono sembrati ancora più veri, hanno anche lasciato come un'ultima fitta. Come sono fieri certi attori!