Nonostante non balli da un po’ di anni con El Mirabrás, ho sempre cercato di non mancare ai saggi che si tengono ogni inizio estate. Perché non sono solo saggi, sono spettacoli danzati incentrati ogni anno su un tema sviluppato originalmente.
Marina spesso li ha presentati e bastavano pochi minuti di ascolto per vedere che ne poteva raccontare per ore, della storia di ogni ballo popolare, della storia culturale spagnola…di ogni sfaccettatura.
E così un anno fa, dopo un loro spettacolo dedicato a Verdi per il bicentenario della nascita, mi sono decisa a digitare il suo nome su Google. Da lì ho avuto accesso ad un’intervista da lei rilasciata su un sito ispano-italiano e man mano entravo nella sua storia personale, nel perché era venuta in Italia, a Roma; era come risalire alla fonte, scoprivo la figlia, mia maestra di flamenco, attraverso la madre che era arrivata - diceva - con tante illusioni da una Siviglia ancora oppressa dal regime franchista e dal perbenismo conservatore (forse più tipico del sud spagnolo di allora) con la voglia di studiare arte a Roma, la città che per la luce le ricordava la sua Siviglia. E così ho letto di tutte le sue energie iniziali per trovare un ambiente favorevole e per guadagnarsi da vivere. Si legge che aveva iniziato col dare lezioni al liceo Cervantes appena creatosi. Tra gli incontri di quegli anni descrive quello con lo scrittore Rafael Alberti e sua moglie Maria Teresa León, anch’essi come lei fuori dalla Spagna perché esiliati da Franco.
Nelle sue righe si intuisce una sana vitalità, quella di una ragazza che ha voglia di cercare e di creare un ambiente dove circolino idee ed iniziative. E ci riesce. Sempre di più promuoverà eventi culturali nell’ambito spagnolo a Roma, “per far conoscere il mio amato Paese ai romani” dice.
Descrive in poche righe ma con tanta tenerezza la nascita di sua figlia Clara e del suo inizio in radio. Uno dei suoi programmi mattutini nella metà degli anni ottanta riscuote successo tant’è che la chiamano la “signora spagnola del mattino”.
Non tralascia note delicate su sua figlia che come scrive crescerà tra Roma e Siviglia studiando lettere, teatro e flamenco.
In rete si possono vedere immagini dei suoi ultimi libri, uno “Sorelle d’Italia” sulle donne nel risorgimento italiano e altri sulla gastronomia storica (“Le pentole di don Chisciotte” tra gli altri).
Giocava sul suo essere di una cultura ed immersa contemporaneamente in un’altra tanto da definirsi “itagnola”. Nel suo blog dava consigli su come fondere le due culture attraverso la cucina.
Ma perché scrivere di lei adesso? Perché chi ha conosciuto sua figlia ha potuto notare un amore pieno, discreto e grande sentito verso questa Marina-madre, questa maestra che le ha fatto strada, vivendo con lei come un’amica più grande. Per alcuni periodi si sono trovate da sole madre e figlia che non ha altri fratelli e quel legame è diventato vitale come l’acqua, impareggiabile.
Non l’ho conosciuta Marina, volevo farlo, chiederle com’era Alberti, com’era Roma appena era arrivata nel 70, chiederle tante altre cose, mi hanno detto che era instancabile. Non ce l’ho fatta.
Mi rimangono le sue linee scritte nel blog, la sua energia espressa nella vita e attraverso sua figlia. E mi piace pensare che l’amore non finisce con la morte ma dilaga ancora nel corpo di chi si ha amato che come posseduto inizia un baile flamenco sulle scie di quell’amore.
Gracias Marina