A Guido manca la passione, che non trova perché non ha stima di sé. A Serena manca un destino tutto suo, un desiderio. Crede che la sua vita sia soltanto riuscire a trattenere quel marito. Sono due persone che ancora non si conoscono. Nella realtà, e neppure nei sogni. Non si sono emancipati dalla cultura dominante, pure sentendosi frustrati e oppressi, e hanno inseguito quella minoritaria, intellettuale, ma solo per un vezzo, o per conflitto. Due persone che non comunicano, né fra di loro, né con i figli, pur ipotizzando rapporti paritari (dai figli si lasciano chiamare per nome, com’era d’uso per le teorie psicologiche del tempo), cercando di non frenare espressione e linguaggio, di non inibire personalità e identità. Ma i due bambini sono non di rado ignorati, assistono a tutto, trascinati in un vortice di emozioni confuse e assolutistiche, spesso spacciate per moderne, invece radicate come ortiche nel vissuto stantio e rinsecchito comune di entrambi. In un contesto inevitabilmente borghese e coartante. La famiglia di lei, di commercianti e numerosa, e la famiglia di lui...sua madre, rimasta sola, anaffettiva, ipercontrollante ed educastrante.
Tutto a un certo punto apparentemente si rompe e resta come in un frammento, di aria, di arte, che perciò valica il monolitico delle sculture, classiche e neoclassiche, e va oltre anche l’evanescente del vuoto esplorato dai nuovi autori performanti contemporanei. É come un respiro singolo e ripetuto per non affogare sott’acqua, che ti serve per sopravvivere, o come un’enorme statua d’argilla interiorizzata, sul fondo, che continuamente deve essere bagnata dal pianto, se no secca e sbriciola via.
Dario si fa regalare una cinepresa, e con quella riprende gioco e stati d’animo, movimento e morte, amori delusi e amori nascenti...la storia appassionata fra due donne (sua madre e la gallerista), apparentemente convinte dal femminismo, invece totalmente coinvolte da un amore vero seppure sfuggente, comunque così intenso e romantico da restituire fiducia a tutti noi immersi nell’omofobia di quarant’anni dopo.
I personaggi sono ben costruiti e ben recitati, la misura espressiva di Kim Rossi Stuart ne fa un attore superlativo, Anche Micaela Ramazzotti è molto brava, ma è la spontaneità dei bambini che vince su tutto (Samuel Garofalo e Niccolò Calvagna).
La regia è delicata, mai irriverente, poetica e leggera, fa di questo film autobiografico una commovente esperienza visiva e una commedia davvero interessante e molto garbata.
Probabilmente un’ultima esperienza girata in pellicola (“Ho voluto usare il 35 mm, il 16 e il super 8, girando con la stessa macchina da presa super 8 che i miei mi regalarono per una promozione – dice Lucchetti - mi sono reso conto di quanto fascino ancora abbia usare un negativo e un positivo, e di quanta sensibilità, profondità di colore e fascino andranno inevitabilmente perduti quando non ci sarà più scelta e si potrà girare solo in digitale, che con tutti i suoi vantaggi e svantaggi è semplicemente altro").