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Io sono “Quello che prende gli schiaffi”

Io sono “Quello che prende gli schiaffi”
di Chiara Merlo

...No, no, non voglio lacrime!…
…Ho paura di quelle gocce limpide e cristalline:
come se qualcuno, ignoto e spaventevole, le facesse cadere.
Io non voglio che tu pianga…
Io t'incanterò con una fiaba luminosa, ti circonderò di sogni sereni come di rose, o mia regina

(Leonid Nikolaevic Andreev)
(23 dicembre 2011) Da Leonid Nikolaevic Andreev, con la regia di Glauco Mauri.

I colori e la magia di questo spettacolo rincuorano, mentre è da tanto che mostriamo la nostra preoccupazione per la società e per il teatro (non sembri forzato l’accostamento, la corrispondenza!) che l’economia cinica e ottusa di un cinquantennio di sperperi e imbrogli ha ridotto a una miseria insanabile, culturale e materiale.

Così che tutto ciò che riconosciamo della nostra vita quotidiana, sulla scena è fallimento, inadeguatezza. Anche io sono quello che prende gli schiaffi? Quello che vorrebbe per tutta la vita congelare la sua esistenza in un’interminabile attesa e rinuncia, fosse anche solo nella speranza di un epocale capovolgimento, ma calato dall’alto?

Ma poi, ci riesce ad aspettare senza far nulla, mentre tutto crolla e si distrugge? Noi tutti aspettiamo che cambi qualcosa della nostra vita, ma nessuno di noi rompe la tela.


Questo autore, Andreev, attraverso il nostro formidabile Mauri, ci suggerisce una via, non è così dolorosa come continuare a prendere schiaffi, ma neppure impraticabile. È l’immaginazione.



Vi siete mai trovati sorpresi (specie a Natale) a ribaltare quelle sfere di vetro con la neve dentro, in quei negozietti di souvenir del centro, piccoli e affollati? E avete sentito, immediatamente, quella voglia irresistibile di ripetere il gesto solo per sorridere ancora una volta? E magari guardando chi passa, che a sua volta sorride con quell’identico sguardo infantile? Mauri ci guarda con quello stesso sorriso accattivante (quello stesso che c’ha Babbo Natale per farsi riconoscere), con la barba lunga e bianca, con quegli occhi ardenti di ostinata bontà.



Capovolge l’intero palcoscenico e fa scendere la neve, su tutti noi...e tutti noi sorpresi come bambini a sorridere rincuorati.



Forse ha soltanto voluto dirci come dobbiamo ricominciare. Con un soffio. Dalle piccole cose, quelle piccole idee felici che sotterriamo ogni giorno. Così spingere i nostri impulsi, mobilitarci contro la cattiveria, non arrenderci all’omologazione del comportamento.



Il testo è attualissimo: un circo di magnati, ballerine e colorati pagliacci senza difesa che sorridono senza averne voglia, piangono invece, come tutti i pagliacci, a orchestrare ogni giorno lo stesso spettacolo a un pubblico inerme e indifferente: siamo noi.



Ma tra i suonatori e i saltimbanchi, solo un folle può rompere il vetro (uno scrittore!) e se pure inizialmente ha voluto vivere la giostra dell’immaginario collettivo, poi non ci riesce a sacrificare gli ideali alle apparenze. Uccide l’innocenza e se stesso per non rinunciarci. Ma la favola non finisce così male, il protagonista non muore davvero, continua invece, e ogni volta che viene capovolta la sfera. Spera. Gli attori: tutti molto bravi. Roberto Sturno nel ruolo di “Quello”.



La regia è, per ripeterlo, magica. C’è però una crepa pericolosa nella messa in scena: quando il vecchio padre (Glauco Mauri) parla a “Quello” per convincerlo a non insistere in quel suo febbrile incitamento alla rivolta, perché sennò poi si arriva da vecchi a doverci rinunciare per forza...beh! In quel momento, il carisma del vecchio ha di fatto soggiogato la rivolta, facendo perdere allo spettacolo l’evoluzione di un crescendo. Ed è quello il punto forse in cui bisogna ribaltare la sfera, su cui evidentemente ritornare e riflettere.


23 dicembre 2011
Articolo di
nostoi
Rubrica:
Teatro


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Approfondimenti


DATE di GENNAIO: Verona - Teatro Nuovo (dal 10 al 15); Rovigo - Teatro Sociale (il 17)




Foto Glauco Mauri e Roberto Sturno

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