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“Tradimenti” di Pinter con Nicoletta Braschi

“Tradimenti” di Pinter con Nicoletta Braschi
di Chiara Merlo

(18 giugno 2011) Racconta l’amore. Forse la passione. O forse il desiderio... comunque l’incapacità di farlo durare nel tempo. Di certo il matrimonio, l’impegno di essere felici. Come ci si può impegnare di essere felici, di fare felice un’altra persona. E così anche la felicità rubata degli amanti finisce.

E finisce ogni volta con una profonda terribile consapevolezza. Ci si stanca di essere felici. Non può durare la felicità. Nell’infelicità. Una condizione più vera.


E lo sappiamo tutti...nella vita, come in questo testo senza fuga. In un pericoloso, atemporale, percorso all’indietro. E invece subito a voler arrivare alla fine, al resoconto, all’immediato riconoscimento della realtà. “Tradito” l’autore, il testo, questo teatro che dovrebbe soffocarti per ogni istante di vita cristallizzata, mettere la tua testa sott’acqua e lasciarla lì a non respirare, ma non ad osare la morte che più facilmente definisce ogni cosa.


Eppure questa consapevolezza pinteriana, sui tradimenti, pietrificata nelle parole, è talmente basilare per ogni altra consapevolezza da poter essere arricchita ogni volta di diversissime sfumature, anche di quelle più personali. Il tradimento non è andare a letto con qualcun altro. Non è così semplice. Non è dimenticarsi di avere una famiglia. Il tradimento è più sostanziale, è voler essere un altro, ed è volere ogni volta un altro nella tua vita. Gli stessi occhi ti pesano a lungo.


Allora si può fuggire da se stessi verso una partita di squash. Perdersi col ghiaccio in un bicchiere di liquore. Avere sostanzialmente paura e fare finta di non sanguinare.


E perciò questa messa in scena è così deludente. Come l’amore. Frettolosa, perché resti solo un concetto, un concetto sfruttato, non sfumato. E un concetto sbagliato, recepito come fosse da declinare ogni volta solo al singolare (e invece è “tradimenti”). E non ci si può aggrappare all’ironia con un riso nervoso e così trascurare quei silenzi così fortemente voluti tremendi.


Interpretare quelle parole distillate nel vuoto come fossero monotone, invariate, noiose. Neppure la noia è stata ben replicata, forse quella degli spettatori, ma non quella dei tre personaggi così ostinatamente specchiati nel nulla. E poi la trama... non è il solito triangolo: lei che tradisce lui per il suo migliore amico, ma anche lui tradisce lei e così tutto si ricompone. Questa forse è la trama di un romanzetto. Tutto invece resta in brandelli fra le sedie vuote di una stanza abbandonata, e ad ognuno, prima di andare via, viene restituito un pezzettino di carne putrefatto. Per ricordo. L’angoscia segue una storia necessariamente soggettiva.


Sono io che tradisco, e poi è per questo che vengo tradito, dall’amore, dall’amicizia, dall’altro che non ho saputo portare per sempre dentro di me. Tutto parte e finisce con me, con i miei significati e i miei significanti. E finisce con l’impotenza del sé, l’impotenza di amare.


Neanche particolarmente bravi gli attori (un po’ meglio è sembrata Nicoletta Braschi, adatta quella sua vocina).


Una regia davvero troppo leggera, sabbiosa, ma che ha saputo ben innestare alcuni set d’immagini in installazioni visive. Come se per i nostri tempi solo un canale video potesse concedere uno zoom più preciso.

18 giugno 2011
Articolo di
nostoi
Rubrica:
Teatro


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