Il nostro Presidente del Consiglio arriva al G20 di Toronto trionfante: «Non ci sarà nessuna decisione sulla tassazione delle transazioni finanziarie, che il nostro veto aveva impedito fosse approvata dall'ultimo Consiglio europeo».
Era il 1981, quando l'economista americano James Tobin vinse il Premio Nobel</a> per la sua “Analisi dei mercati finanziari e le loro relazioni con le decisioni di spesa, occupazione, produzione e prezzi”. Oltre tale riconoscimento, Tobin (deceduto nel 2002, all'età di 84 anni) verrà ricordato per la teorizzazione di una tassa sulle transazioni effettuate nei mercati valutari. La cosiddetta Tobin Tax.
L'idea è quella d'imporre una trattenuta ad aliquota minima (nell'ordine dello 0,05%) che penalizzerebbe in misura rilevante solo le transizioni a breve termine. Vale a dire le pure speculazioni finanziarie.
In tal modo si andrebbe a colpire al cuore l'elemento d'instabilità dei mercati e non ci si fermerebbe lì.
Perché, dunque, si dovrebbe gioire per aver ostacolato una tale iniziativa in un contesto mondiale? In realtà, dalla teoria alla pratica, ci sono ancora alcune questioni da definire e da non sottovalutare. Ma da risolvere. La tassazione, infatti, dovrebbe essere applicata a livello internazionale da ogni Paese, attraverso accordi multilaterali complessi e non privi di potenziali tensioni.
L'ostacolo sottolineato dal Presidente Berlusconi è reale: qualora anche un piccolo Stato decidesse di non aderire alla tassazione, attrarrebbe tutti gli investimenti finanziari mondiali. Ma una buona idea non può essere liquidata al primo ostacolo. Gli economisti propongono diverse soluzioni, tra cui un sistema di sanzioni comminate dalla stessa realtà adibita alla gestione del fondo.
La seconda questione da risolvere concerne la definizione di “transazione economica”. O meglio, l'identificazione chiara e inequivocabile delle transazioni internazionali da tassare. È chiaro, però, che oltre gli ostacoli di natura attuativa, la Tobin Tax si va a scontrare con interessi di gruppi di pressione importanti, in alcuni casi legati a esponenti dei governi. Senza contare che tali speculazioni interessano in modo non secondario anche il mercato delle materie prime e, dunque, la grande industria. Quella che è anche chiamata Robin Hood Tax, poiché dovrebbe incidere là dove c'è ricchezza per ridistribuirla dove ce n'è bisogno, è stata adottata come cavallo di battaglia da alcuni movimenti altromondisti.
La realtà della crisi internazionale ha riportato sotto gli occhi dei detrattori una questione che non può essere più etichettata come mera soluzione di un'ideologia utopistica. Mentre il costo economico e sociale del risanamento dei conti di nazioni, banche e società è destinato a raggiungere livelli mai riscontrati in precedenza, nel circuito pubblicitario di Google è comparso un annuncio che promette grandi guadagni dalle speculazioni sulle valute. Si richiede un minimo investimento e nessuna conoscenza dei mercati.
Ora, la domanda è: cosa succederebbe se una realtà mondiale di piccoli risparmiatori iniziasse a speculare sui mercati valutari con la facilità e la leggerezza di un click?
Campagne nazionali e internazionali per l'introduzione della Tobin Tax: