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La TAV e le verità nascoste

La TAV e le verità nascoste

(11 giugno 2009) All’indomani di tangentopoli il panorama italiano è sembrato tutto più chiaro.

Sono stati svelati i complicati meccanismi delle mazzette e a cosa esse servissero. Furono smantellate quelle connivenze tra politici, imprenditori e criminali, ovvero quel complesso meccanismo che rappresentava da anni il vero sistema adoperato per far soldi illegalmente.
Concluso quel capitolo, oggi gli scenari della criminalità economica sembrano essere cambiati.

Su un punto fondamentale sembra essersi invertita la rotta. Mentre prima la classe politica era il vero centro nevralgico dei cosiddetti “affari”, ora la mano è passata alle lobbies degli imprenditori che a loro volta utilizzano la classe politica come strumento per i loro interessi.

Eppure, chiuso quel capitolo, ci saremmo aspettati un clima di maggiore chiarezza e legalità: e invece.

Siamo sempre di più invischiati in storie di quotidiana illegalità i cui protagonisti sono sempre gli stessi: politici, grossi imprenditori e, soprattutto, mafiosi.

Senza volerci addentrare nel mare magnum degli esempi degli ultimi anni, uno su tutti dovrebbe indignarci e far riflettere.

Ci stiamo riferendo a quella che è stata definita “la più grande truffa legalizzata di tutti i secoli”, “la madre di tutte le tangenti”, più grande di tangentopoli, un affare di 80 miliardi di euro e che graverà sul contribuente italiano fino al 2040.

In questa grande “pappatoia”, come è stata definita, tutti vi hanno attinto e si sono ingrassati.

Nell’ affare, di cui poco si è parlato, troviamo nomi illustri di politici, imprenditori, e mafiosi. Tutto, ovviamente, acclarato e dimostrato. Stiamo parlando del più grande investimento pubblico di tutti i tempi: la TAV.
Occorre però ripercorrerne brevemente la sua storia.

L’ideatore del grande progetto è stato l’ex dirigente delle ferrovie Lorenzo Necci che propose, siamo nel 1990, all’allora governo Italiano, l’adeguamento delle nostre linee ferroviarie all’alta velocità.

Un’ambizione grandiosa: circa 900 km. Di linee ferroviarie, con costruzione di ponti e gallerie, e con una spesa stimata di 140.000 miliardi di vecchie lire.

Il progetto venne approvato in tutta fretta nel 1992, probabilmente per sfuggire alle normative comunitarie in materia di aggiudicazione di appalti, dove per altro avrebbero potuto partecipare anche delle ditte straniere, e ai controlli e probabili ingerenze da parte dell’ UE.

L’ appalto dei lavori, inoltre, anziché passare attraverso il noto sistema di aggiudicazione, previsto per le realizzazioni di grandi opere pubbliche, fu assegnato escogitando un sistema a dir poco geniale.

La commessa, infatti, fu direttamente affidata a dei General Contractors, costituiti da tre grandi Enti: la FIAT, l’IRI e l’ENI alle quali poi si aggiunsero la coppia delle società GRASSETTO (dell’imprenditore Ligresti). Inizialmente, il denaro per la realizzazione dell’opera doveva essere così ripartito: il 40 % finanziato dallo Stato, la restante parte da contributi privati.

In realtà, l’intera opera è stata realizzata con soldi dello Stato, e questo in pieno contrasto con quanto previsto dalle normative comunitarie.
Intanto, questi General Contractors incassarono, per il solo fatto di aver partecipato, il 10% dell’ intera somma stanziata. Successivamente le commesse furono girate ad altri e, ancora, subappaltate attraverso vari passaggi, più o meno consentiti, fino ad arrivare a ditte o società completamente in mano a note famiglie mafiose.

Tutto questo è quanto emerso da un’indagine condotta dall’allora Commissione Antimafia presieduta dall’ex giudice Imposimato.

Per la verità anche i giudici Falcone e Borsellino si erano interessati della questione TAV, ma non hanno avuto il tempo di approfondire le loro indagini, come purtroppo sappiamo.

Nella denuncia fatta nel suo libro “TRUFFA AD ALTA VELOCITA’”, scritto assieme a Sandro Provvisionato, l’ex giudice fa presente che questo metodo di appalto a cascata avrebbe fatto triplicare i costi dell’intera rete ferroviaria.

Ad ogni passaggio, infatti, le società si distribuivano il 10% della commessa, col risultato che il 90% della somma stanziata, alla fine, era stata spesa solo per aver prodotto burocrazia, gonfiando le tasche di già ricchi imprenditori. La rimanente parte, è cioè l’esiguo 10%, è stato destinato alla realizzazione delle prime opere.

Come se non bastasse, per spendere meglio i soldi dei contribuenti, lo stesso Necci ebbe la brillante idea di creare degli organi di controllo per i lavori dell’alta velocità.

Vennero costituite per l’occasione, infatti, una società: la Nomisma (fondatore Romano Prodi), alla quale fu affidato il compito di effettuare le valutazioni d’opportunità dell’ opera, e un comitato nodi, la cui presidenza fu attribuita alla sig.ra Susanna Agnelli.

Ora, visto che, sia la FIAT che l’IRI (che tra l’altro in quel periodo aveva come presidente proprio Romano Prodi) erano tra le società indicate come General Contractors, viene legittimo porsi il quesito, generato da un piccolo sospetto: se sia raffigurabile una possibile conflittualità di interessi. Potrebbe essere stato un modo più o meno lecito per ingraziarsi persone importanti?

Lasciamo ai lettori le ulteriori considerazioni con la promessa di ulteriori informazioni sulla vicenda.

di Alessandro Gagliano

11 giugno 2009
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