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Medio Oriente difficile

Medio Oriente difficile

(23 gennaio 2009) Bombe su Gaza

Sembra durare la tregua in Palestina, e questa è la bella notizia che accompagna il faraonico insediamento di Obama a Washington. La cattiva notizia è che passata la bufera ci si rende conto della vera entità dei danni provocati da quasi un mese di bombardamenti ed attacchi.

Questa ennesima dimostrazione di forza da parte d’Israele lascia Gaza in uno stato quasi preistorico, mancano l’acqua, luce e gas. In un monumentale panorama di macerie si riesce solo ad immaginare che lì dove si vedono polvere e detriti, prima c’erano case, moschee o edifici governativi.

Nella culla delle religioni monoteiste il flagello della guerra e delle bombe sembra non voler mai conoscere una fine. Questo ennesimo conflitto è la dimostrazione che gli animi mediorientali sono ancora lontani da trovare una soluzione al perenne problema della convivenza. Hamas ha rialzato la testa e ripreso il controllo dell’opinione pubblica che da qualche tempo a questa parte aveva iniziato a voltargli le spalle. In Israele, i sondaggi per le prossime elezioni politiche danno in netto vantaggio i falchi del Likud. Si prospetta un periodo difficile per tutto il medio oriente. Con i bombardamenti Israele non ha seppellito solo cadaveri ma anche i tentativi fatti dalle diplomazie di mezzo mondo di far riallacciare i rapporti tra il governo israeliano e i suoi vicini Siria ed Egitto, fondamentali per risolvere definitivamente la questione.Quali possono essere i rimedi per uscire da quest’impasse nessuno in questo momento lo sa. È forse presto per tentare una mediazione, bisogna prima soccorrere le migliaia di palestinesi rimasti feriti o senza casa durante i bombardamenti. Nemmeno questa sembra un’operazione facile, Israele controlla gran parte dei valichi d’accesso alla striscia di Gaza e non sembra dare l’impressione di volere allentare il controllo. Qualche cambiamento potrebbe verificarsi se Hamas decidesse di formare un governo di unità nazionale con Al Fatah. La proposta avanzata da Abu Mazen, tesa ad aggirare lo stallo dovuto al rifiuto delle diplomazie internazionali di avere rapporti diretti con Hamas, ha già ottenuto pareri favorevoli. Il consigliere politico del premier Ismail Haniyeh ha ribadito che Hamas è pronta al dialogo, dall’Europa si è levata la voce di Sarkozy che si è detto disponibile a riconoscere un governo d’unità nazionale palestinese. A breve anche le posizioni americane a riguardo saranno chiarite, nella regione è stato inviato con il ruolo di mediatore George Mitchell. Mitchell, di origine libanese, ha già avuto esperienze in medio oriente durante l’amministrazione Clinton, ed è inoltre uno dei personaggi chiave della pace in Irlanda del Nord. L’unica cosa certa è che la situazione non può rimanere immutata perché non conviene a nessuno. Hamas non smetterà di lanciare razzi contro gli insediamenti israeliani, mentre Israele continuerà a stringere la striscia di Gaza in un embargo che si prospetta diventare sempre più duro. Serve quindi uno sforzo comune e la giusta pressione internazionale per permettere ai palestinesi e agli israeliani, che così tante sofferenze hanno dovuto patire, di sperare in un futuro migliore. Che per molti si traduce in un cielo senza bombe.


di Alessandro Omodeo

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