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Tokyo – through...

Tokyo – through...

(23 aprile 2009) Il mercato del pesce di Tsukiji attraversato da uno sguardo occidentale.

Immagini di peperoni e zucchine dai tratti antropomorfi ci sorridono e salutano dalle casse sulle quali sono stampate. Il loro compito originale sarebbe quello di attestare la bontà dei prodotti che rappresentano ma, rispetto alla nostra posizione, certificano esclusivamente quello che prima era solo un sospetto e sembra quasi che dicano: “spiacente ragazzi, qui non c'è nessun mercato del pesce”.

Errori del genere, però, sono comprensibili, soprattutto se ci si trova a Tokyo e si decide di esplorare Tsukiji, il mercato del pesce più grande del mondo, prima della sua apertura al pubblico. I 65.000 operai che si prendono cura di Tsukiji svolgono con frenesia le loro mansioni: praticamente, oltre che sbagliare strada e ritrovarsi nella sezione ortaggi e verdure, si rischia di essere investiti da qualche carrello.

Consapevoli di dover prestare molta attenzione a queste eventualità non remote, poco dopo la mezzanotte entriamo nel mercato. Tra gli sguardi incuriositi degli operai attraversiamo cautamente il jogai shijo, la zona della vendita al dettaglio del pesce, e ci addentriamo nel jonai shijo, il mercato interno dedicato all'asta dei tonni e ai grossisti. Affrontiamo la sovrintendenza di quest'ulteriore monito e ci ritroviamo di fronte a un corridoio coperto e scuro, attraversato dai soliti carrelli, sul quale si affacciano diverse saracinesche. Una di queste si apre per accogliere il primo carico di tonni congelati: alcuni operai lasciano cadere dal camion le algide carcasse su un grosso copertone e i colleghi a terra, ciascuno munito di due protesi uncinate, le trascinano all'interno dello spazio nascosto dalla saracinesca.

Ci immergiamo nuovamente nel reticolo del jogai shijo e ci perdiamo in esso, nel su ordinato caos quotidiano. Probabilmente anche quest’area del mercato è coperta ma alzare lo sguardo significa affrontare uno spazio totalmente occupato dalle insegne, dai gonfaloni, dalle lanterne in carta di riso che trasportano informazioni sicuramente fondamentali per orientarsi ma che a noi risultano oscure. Nelle retrovie i proprietari si ritagliano uno spazio, un piccolo parallelepipedo di legno zeppo di fogli e numeri, nei quali gestiscono le concitate fasi della vendita e gli operai iniziano a tagliare con una sega a nastro i tonni appena acquistati.

Sotto i nostri occhi si susseguono contenitori di polistirolo colmi di ogni qualità di forma vivente marina o anfibia: nelle vasche gonfie di ossigeno i nerboruti polipi intrecciano i loro tentacoli nelle reti di protezione , enormi e non ben definiti frutti di mare ripescano l’acqua in cui sono immersi e la risputano, quasi a voler sottolineare il loro disappunto, crostacei d’ogni genere s’affannano nel tentativo di guadagnarsi una possibile via di fuga.

Sono iniziare le aste e quegli spazi che fino a poche ore fa ci apparivano come luoghi immenso e quasi inumani ora sono gremiti da ristoratori e commercianti al dettaglio che ascoltano, con grande attenzione, le offerte dei diversi battitori.
Appena mettiamo piede nell’area di vendita comprendiamo il motivo per cui queste aste rappresentano un’attrattiva turistica al pari di luoghi monumentali ben più indicativi della cultura giapponese. Anche se non avevamo alcuna conoscenza della lingua giapponese, nei suoni emessi dagli addetti alle vendite non usciva alcun suono potevamo vagamente ricondurre ad un periodo linguisticamente sensato.

La loro voce, sempre sull’orlo della rottura, si accompagnava a una cinetica altrettanto esasperata, come se il tutto appartenesse a una danza rituale piuttosto che a una transizione economica, e si contrapponeva a quella sempre composta e quasi impercettibile del pubblico di acquirenti. Senza alcun preavviso la pantomima dei battitori si interrompe: al pari di una pièce teatrale, ci aspettiamo quasi che il pubblico degli acquirenti si congratuli con il battitore - artista che ha appena concluso il suo monologo, ma questo non accade. Piuttosto ognuno abbassa il capo sul proprio taccuino in attesa della prossima asta.


di Riccardo Esposito



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