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LE PAROLE NON MUOIONO

LE PAROLE NON MUOIONO

(16 aprile 2009) VIGLIACCHI! STATE TRATTANDO DA MORTO COLUI CHE E' VIVO!

(…)Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. Ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. Il Signore Dio mi assiste(…)" Is 50, 4-9a.
Ciò che muove l’anima di una persona a fare di sé, della propria essenza, del proprio corpo, un martire per la parola di Dio, non può che essere la parola di Dio stessa.

Infatti nella vita si hanno due possibilità: quella di vivere da vivi, e quella di vivere da morti.

Chi vive da morto tratta da morti tutti, indistintamente.

Per chi vive da vivo anche i morti possono essere vivi.

E dunque, dov’è, oh morte la tua vittoria?

C’è stato solo un uomo nella storia, che si è fatto testimone della vita nonostante la morte, e dal quale altri presero esempio tanto da emulare la sua vita con la loro donandola totalmente senza cercare dei perché, ma offrendosi semplicemente, trasformando la propria esistenza in missione di salvezza.

Quest’uomo è il Cristo.

Perché morendo sconfisse la morte e distrusse il peccato. E non solo.

L’esperienza di Cristo insegna che la sottomissione è evangelica, che la croce è obbedienza.

Questa apparente remissione nell’accettazione dogmatica potrebbe essere per i più solo simbolo di sconfitta.

L’uomo che vive davvero, l’uomo che non si nasconde dietro al semplicismo come modus vivendi, è disposto a fare della propria esistenza un esempio concreto e attivo della verità.

Andare contro corrente, agire in perfetta autonomia è il miracolo che ognuno è chiamato a compiere con piccoli o grandi gesti quotidiani.

Vivere contro corrente ha portato alla morte di croce è vero, ma questa morte è simbolo di vita eterna, così come le parole scandite che parlano di amore, di obbedienza e non hanno paura.

Una morte inflitta con violenza, vessata di transfissione, non è sufficiente ad intaccare anche solo minimamente quella parola di vita e di lotta per la salvezza che, persone come Don Peppino Diana hanno testimoniato con la propria vita, ma soprattutto con la propria morte.

Per il cristiano porgere l’altra guancia significa questo.

A chi, e come, si è soliti porgere l’altra guancia?

Dipende se conviene!

Si porge non solo la guancia, ma anche tutto il resto, si sarebbe capaci di vendere i propri genitori, o peggio, i propri figli, sempre se di affare conveniente si tratta!

Si sarebbe capaci di ricoprirsi di strati e strati di maschere contro la dignità, contro la morale, contro qualsiasi regola sociale, per ammantarsi di quei sontuosi ricchi abiti dell’indifferenza, dello sciacallaggio lurido sulle vite di innocenti.

Scendere a compromessi, accontentarsi dell’equivoco, calarsi nel più profondo silenzio omertoso, ma consapevolmente, aiuterebbe a liberarsi da tutte quelle responsabilità, da quel minimo di dubbio o da quella rovente sensazione nel cuore che suggerisce l’errore, e ricorda che forse al di fuori di tutta questa falsità può esserci il bene, il giusto, la verità. Ma Davvero aiuta?

Vivere come morti è la peggiore scelta che si possa decidere di fare in questa breve, misera, piccola vita.

Si dovrebbe aver seriamente paura di voler scegliere la morte anziché la vita.

Pretendere che tutti aprano gli occhi è troppo, perché vorrebbe dire di aver a che fare con persone che ci mettono la propria volontà nelle cose che fanno, ma sperare almeno che la gente lasci battere il proprio cuore, che è indipendente dal proprio volere, non sarebbe come vincere una guerra, no di certo, ma una battaglia sì.

Tuttavia a chi vive da morto non batte il cuore, a chi vive da morto non serve un cuore né tanto meno l’amore.

Forse il “rispetto” per quel potere nero che si chiama mafia e che tutto copre, tutto dubita, tutto dispera, nulla sopporta, tutto trasforma in morte, si compiace dell’ingiustizia e si fa vanto del dolore e della menzogna.

Quel potere che si chiama “famiglia” nella quale vige una sorta di legge votata all’assoluta fedeltà, dove il tentativo di distacco o di conversione all’onestà sono considerati atti meritevoli di morte, perché incarnano il tradimento.

Una “famiglia” che si sente capace persino di strumentalizzare i sacramenti, pretendendo di avere una propria religiosità, basata su una Torà tutta personalizzata.

Un’organizzazione che costruisce la sua autorevolezza su un tipo potere impronunciabile sempre per motivi di “rispetto”… infatti:

”Non pronunciare il nome di Dio invano”. E difatti proprio come emulazione di Dio, la mafia, in certi luoghi, dispone davvero della vita o della morte di alcune persone, a volte innocenti, a volte no, ma il dramma vero è che questa condizione esiste, e il dramma ancora peggiore è che il controllo viene esercitato attraverso le armi, la droga, la paura.

Per le "famiglie" il paradosso è che la camorra, vera, non è di chi la fa, ma di chi si permette di parlarne (Don Peppino Diana per esempio), e ciò perché loro si ritengono semplicemente degli imprenditori…non dei malfattori assassini.

Per loro il modo migliore di zittire è quello di distruggere sfigurando, rendendo irriconoscibile un volto un corpo con il quale, forse molti, facevano coincidere la verità e la speranza.

Non avevano capito che non è un corpo che può salvare o rendere liberi, ma è l’idea, la parola, il pensiero, tutte cose che non si possono distruggere con una pistola semi automatica e 5 colpi sparati senza pietà, tutte cose che per fortuna restano indelebili, e nessuno potrà mai cancellare dalle memorie.

Così Don Peppino, nella forza delle sue convinzioni, sostenuto da quell’aura indissolubile di verità, sapienza, giustizia e coraggio, combatteva la pressante, soffocante oppressione casalese.

Semplici parole di opposizione, d’amore e di speranza atte alla denuncia e al conforto per chi, senza volerlo, a volte senza saperlo, si ritrovava vittima di questo sistema non più subdolo, ma ormai ufficializzato, quasi legalizzato, lo stato alternativo, fatto di favoritismi, mazzette, loschi affari camuffati da International business, che di fatto, invece, sono veri e propri atti mafiosi.

Questi cuori impenitenti non distraggono né terrorizzano, né uccidono, né obliano, né soffocano chi non ha paura, chi non si sottrae né scende a compromessi, né si sente onnipotente, ma vive nell’umiltà consapevole solo di poter urlare, testimoniare, vivere energicamente, vigorosamente, alimentandosi della disperazione dissipandola e trasfigurandola in vera carità e perdono.

Così le parole non muoiono, così le trenta monete d’argento sono polvere, così siamo chiamati ad essere profeti.

di Carla Primiceri

16 aprile 2009
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